Vai menu di sezione

“Welfare familiare”

03/05/2013

L'impegno degli assistenti familiari consente un notevole risparmio alle strutture pubbliche italiane

Assistono in gran parte gli anziani che vivono soli, ma lavorano anche per le famiglie con figli e con anziani a carico. Il livello di istruzione è mediamente elevato e solo una parte sente la necessità di una formazione specifica per svolgere il lavoro di assistenza familiare. Questo l’identikit degli assistenti familiari di origine immigrata in Italia che emerge da un’indagine promossa da Unicredit Foundation e realizzata dal Centro studi e ricerche Idos.
Sono oltre 750mila i lavoratori stranieri che si occupano, in forme diverse, di assistenza familiare nel Paese. Lo studio analizza i dati più recenti messi a disposizione dell’Inps e indica un numero potenzialmente inferiore a quello effettivo, per l'eventuale presenza di persone che svolgono questa attività senza un contratto di lavoro regolare. L’indagine è stata effettuata nelle regioni del nord e del centro Italia, dove risiede la maggioranza degli assistenti familiari, e ha preso in considerazione 606 persone provenienti da Romania, Ucraina, Moldova, Filippine, Ecuador, Sri Lanka, Perù e a seguire Georgia, Polonia, Bulgaria, Albania, Argentina, Bangladesh, Brasile, Egitto, Haiti, India, Lettonia, Lituania, Marocco, Messico, Panama, Repubblica Dominicana e Venezuela.
La grande maggioranza degli intervistati lavora tra le 20 e le 40 ore a settimana (55,6%), una quota consistente (26,2%) lavora tra le 41 e le 60 ore e non mancano i casi di oltre 60 ore di lavoro (4,0%), ma c'è anche chi lavora meno di 20 ore (6,4%). Le mansioni affidate riguardano principalmente la cura delle persone (per il 66,5% degli intervistati) e la cura della casa (per il 63,2%), ma non è di poco conto il lavoro svolto in cucina (33,3%), mentre è meno ricorrente il compito di fare la spesa (7,1%). Il livello di istruzione degli intervistati risulta mediamente elevato, con il 26,7% che ha conseguito il diploma e il 18,0% che ha frequentato l’università. Meno soddisfacente è la formazione specifica ricevuta per la cura delle persone (73,3% risposte negative e 24,7% risposte positive). Solo una quota minoritaria sente la necessità di una formazione specifica (36,0%, contro il 59,4% di risposte negative). Il 33,6% non fruisce pienamente dei giorni di riposo settimanali previsti dal contratto collettivo nazionale; il 61% trova lavoro attraverso il passaparola tra connazionali.
Gli intervistati hanno una grande capacità di risparmio e sono in grado di accantonare anche fino a 250 euro al mese; il denaro guadagnato viene poi in parte spedito, nella maggioranza dei casi, ai famigliari nei Paesi d’origine (il 33,6% attraverso canali informali correndo il rischio del mancato recapito). Tra gli intervistati, di tutte le età, prevale il desiderio di rimpatriare (complessivamente il 78,0%, fino ad arrivare all’85,0% tra gli ultracinquantenni). Un’aspettativa peraltro confermata dalla bassa propensione all’acquisto di una casa, tranne che per la fascia di intervistati con un’età compresa tra i 20 e 30 anni.
L’organizzazione “Badandum” del Pio Albergo Trivulzio di Milano ha stimato che nel 2010 le badanti siano costate alle famiglie 9 miliardi di euro (un miliardo in meno della spesa sostenuta dallo Stato per l’indennità di accompagnamento), consentendo così un notevole risparmio alle strutture pubbliche e il Rapporto Inrca (Istituto nazionale ricovero e cura anziani) concorda con questa stima, pari allo 0,59% del Pil.

torna all'inizio del contenuto
Pubblicato il: Venerdì, 03 Maggio 2013 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

Valuta questo sito

torna all'inizio del contenuto