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Viaggio nel lavoro di cura

24/06/2014

Le trasformazioni del lavoro domestico nella vita quotidiana tra qualità del lavoro e riconoscimento delle competenze

La crisi economica ha impattato sugli standard minimi di lavoro domestico, in alcuni casi provocandone un peggioramento. È quanto emerge dall’indagine dal titolo “Viaggio nel lavoro di cura”, realizzata dall’Istituto di ricerche educative e formative Iref con la collaborazione di trenta sedi Acli Colf e Patronato Acli. Sono state contattate 837 lavoratrici residenti in 177 comuni e attive nel settore dell’assistenza alle persone, le cosiddette “badanti”. Il 51,3% delle intervistate fa la "badante" da più di 5 anni. L’età delle persone intervistate è compresa, nella maggior parte dei casi, tra i 45 e 64 anni. Si tratta di persone sposate nel 34,8% dei casi, separate/divorziate nel 34,4%, mentre il 20,3% sono single; il 10,5% ha perso il coniuge. Una "badante" su tre è andata all’università (nel 21,2% dei casi ottenendo la laurea), mentre il 54,4% delle intervistate ha studiato per almeno nove anni. Il 22,4% ha avuto un’esperienza formativa in campo medico-infermieristico. Inoltre, una su tre ha fatto un corso di formazione specifico in Italia. Le credenziali formative delle lavoratrici risultano mediamente elevate, sia in termini di cultura generale, sia rispetto alla formazione di settore.
Sul fronte della provenienza nazionale, sono state intervistate donne e uomini di 35 nazioni diverse, in particolare persone originarie di Romania, Ucraina, Perù e Moldavia. Il 5,2% delle lavoratrici intervistate è di nazionalità italiana. Nel 60% dei casi la lavoratrice coabita con la persona che assiste.
Le “badanti” hanno ritmi di lavoro molto sostenuti: in media lavorano nove ore al giorno per sei giorni la settimana. Due lavoratrici su tre lavorano più del massimo previsto dalla legge. Nel 76,5% dei casi il rapporto di lavoro è regolato da un contratto scritto, ma il 51,1% delle intervistate dichiara un qualche livello di irregolarità contributiva, con il 15% che afferma di non aver ricevuto nessun versamento contributivo. E sul fronte delle retribuzioni l’indagine evidenzia che in media le "badanti" guadagnano 800 euro al mese. Sintetizzando le indicazioni ottenute dalle interviste, va rilevato che le retribuzioni orarie appaiono fortemente schiacciate sui minimi retributivi previsti dal Ccnl e, in alcuni casi, sono anche significativamente inferiori. Le “badanti” intervistate assistono per lo più persone non autosufficienti dal punto di vista fisico e mentale (42,4%); solo il 19,1% lavora per persone completamente autosufficienti.
Il 50,5% delle intervistate afferma di svolgere tutte le attività di base (lavare, aiutare la persona nelle funzioni corporali, tenere in ordine la casa, stirare e cucinare), il 90,9% delle intervistate svolge almeno una mansione accessoria (pagare le bollette, andare dal medico, controllare la scadenza di alimenti e farmaci), mentre l’86% ha anche incombenze “para-infermieristiche” (somministrare medicinali, misurare la febbre, la pressione, la glicemia, fare iniezioni e medicazioni varie).
La crisi economica ha impattato sugli standard minimi di lavoro, in alcuni casi, provocandone un peggioramento. Una trasformazione che non riguarda solo orari e salari. Se si considerano i dati riferiti ai disturbi psico-fisici derivanti dall’esercizio della professione, si riscontrano altri segnali negativi. Il 68,6% delle intervistate dichiara che da quando lavora come “badante” soffre di mal di schiena, mentre il 40,6% riferisce di altri dolori fisici. Fare la “badante” è, dunque, un lavoro logorante che influisce sulla salute della lavoratrice, soprattutto quando è condotto con ritmi di lavoro serrati. C’è poi il logoramento psicologico: il 39,4% soffre di insonnia, mentre il 33,9% delle donne intervistate afferma di soffrire di ansia o depressione. Bisogna aggiungere che una “badante” su tre, nell’ultimo anno, non è mai andata da un medico a controllare il proprio stato di salute; tra le under 35 il dato sale al 44,2%. Il tema del logoramento si ricollega dunque con la questione della qualità del lavoro: il settore assistenziale è strutturalmente “labour intensive”; tuttavia i dati su orari e carichi evidenziano la diffusione di fenomeni di sovra-occupazione. Per compensare le perdite salariali si lavora di più, peggiorando l’impatto del lavoro sulla vita personale.

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Pubblicato il: Martedì, 24 Giugno 2014 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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