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Tanha, costretto a fuggire dalla propria casa

20/06/2017

Vi raccontiamo la sua storia nella Giornata Mondiale del Rifugiato

Avere un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria di 5 anni significa per Tanha, originario dell’Afghanistan, aver conquistato la libertà e almeno parzialmente la serenità. La risposta della Commissione territoriale (l'organo dello Stato che valuta le domande di protezione internazionale) è arrivata da poco, ventidue giorni dopo il 18 maggio 2017, quando il giovane si è presentato davanti alla Commissione per raccontare i motivi per i quali ha dovuto lasciare il proprio paese d’origine.
La protezione sussidiaria è una delle tre forme di protezione internazionale che possono essere concesse, accanto allo status di rifugiato e alla protezione umanitaria (quest'ultima solo in Italia). Viene riconosciuta a chi, se ritornasse nel Paese di origine, andrebbe incontro al rischio di subire un danno grave, come enunciato dall’art. 2, lett. g) del Decreto legislativo n. 251/2007.
Secondo Tanha, il suo Paese d’origine è oggi un luogo insicuro per la sua vita. Ci sono più governi che controllano l’Afghanistan – spiega – tra i quali anche quello dei talebani. Sono stati loro – prosegue Tanha – ad accusarlo di collaborare con gli americani e per questo hanno distrutto tre campi di meli che appartenevano alla sua famiglia. Inoltre, uno dei suoi due fratelli è stato ucciso. In quel periodo Tanha studiava presso le scuole superiori a Kabul. Temendo per la sua vita, suo padre lo spinse a scappare lontano. È andato via dall’Afghanistan nel 2015 e nel viaggio ha attraversato Pakistan, Iran, Turchia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Austria, fino ad arrivare a Gorizia in Italia.
Era la primavera del 2016 quando, dopo venti giorni trascorsi a Gorizia, fu trasferito in Trentino e più precisamente presso la residenza Fersina. Grazie al progetto di accoglienza della Provincia autonoma di Trento nel quale è stato inserito, ha seguito con assiduità i corsi di italiano e ha partecipato sistematicamente a tutte le attività proposte da operatori e volontari per valorizzare il tempo a disposizione.
Qualsiasi cosa facesse, dalle attività più “leggere” sino all'impegno nel volontariato presso il Centro di salute mentale di Trento, rappresentava per lui un mezzo per imparare meglio la lingua italiana. Fin dall’inizio, infatti, gli era stato detto che comunicare nella lingua del posto è una cosa importantissima per inserirsi nella comunità, trovare un lavoro e vivere dignitosamente in Italia. Ora il giovane afghano è sereno, pronto a cominciare a costruirsi passo dopo passo una vita qua, a partire dalla ricerca attiva di un lavoro qualsiasi che lo renda autonomo. È consapevole di non poter tornare nel proprio Paese d’origine e la nostalgia dei genitori e del fratello è grande. E gli manca soprattutto sua madre tanto che, a volte, ha l'impressione di incontrarla per strada.

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Pubblicato il: Martedì, 20 Giugno 2017 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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