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Professare la propria fede religiosa

19/05/2008

Cosa prevede la Costituzione italiana in materia di confessioni religiose e sul diritto di professare liberamente la propria fede religiosa?

Costituzione italiana Cosa prevede la Costituzione italiana in materia di confessioni religiose e sul diritto di professare liberamente la propria fede religiosa? Due articoli in particolare l’8 e il 19 definiscono questi principi fondamentali: articolo 8. “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.“ articolo 19. “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo La Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo afferma che: articolo 9. “la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”.

Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo Cosa contiene la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sulla libertà di religione: articolo 18. “ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”.

Codice penale italiano Il codice penale italiano fa diivieto per le offese alla religione e ai sentimenti religiosi delle persone, contenuto dagli articoli 403 e 404.

Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione La Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione è stata adottata dal ministero dell’Interno nel 2006 per riassumere e rendere espliciti i principi fondamentali del nostro ordinamento che regolano la vita collettiva, sia dei cittadini che degli immigrati, cercando di focalizzare i principali problemi legati al tema dell’integrazione. La Carta, redatta secondo i principi della Costituzione italiana e delle principali Carte europee e internazionali dei diritti umani, si sofferma in modo particolare su quei problemi che la multiculturalità pone alle società occidentali. Qui di seguito riportiamo gli articoli riferiti in particolare al tema della libertà religiosa e le note esplicative altrettanto significative dello studio redazionale del Comitato scientifico che ha elaborato la Carta dei valori.

20. L’Italia è un Paese laico fondato sul riconoscimento della piena libertà religiosa individuale e collettiva. La libertà religiosa è riconosciuta ad ogni persona, cittadino o straniero, e alle comunità religiose. La religione e la convinzione non possono essere motivo di discriminazione nella vita sociale (30). 21. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge (31). Lo Stato laico riconosce il contributo positivo che le religioni recano alla collettività e intende valorizzare il patrimonio morale e spirituale di ciascuna di esse. L’Italia favorisce il dialogo interreligioso e interculturale per far crescere il rispetto della dignità umana, e contribuisce al superamento di pregiudizi e intolleranza (32). La Costituzione prevede accordi tra Stato e confessioni religiose per regolare le loro specifiche condizioni giuridiche (33). 22. I principi di libertà e i diritti della persona non possono essere violati nel nome di alcuna religione. E’ esclusa ogni forma di violenza, o istigazione alla violenza, comunque motivata dalla religione. La legge, civile e penale, è eguale per tutti, a prescindere dalla religione di ciascuno, ed unica è la giurisdizione dei tribunali per chi si trovi sul territorio italiano (34). 23. La libertà religiosa e di coscienza comprende il diritto di avere una fede religiosa, o di non averla, di essere praticante o non praticante, di cambiare religione, di diffonderla convincendo gli altri, di unirsi in organizzazioni confessionali. E’ pienamente garantita dalla libertà di culto, e ciascuno può adempiere alle prescrizioni religiose purché non contrastino con le norme penali e con i diritti degli altri (35). 24. L’ordinamento tutela la libertà di ricerca, di critica e di discussione, anche in materia religiosa, e proibisce l’offesa verso la religione e il sentimento religioso delle persone (36). Per la legge dello Stato, la differenza di religione e di convinzione non è di ostacolo alla celebrazione del matrimonio (37). 25. Movendo dalla propria tradizione religiosa e culturale, l’Italia rispetta i simboli, e i segni, di tutte le religioni. Nessuno può ritenersi offeso dai segni e dai simboli di religioni diverse dalla sua (38). Come stabilito dalle Carte internazionali, è giusto educare i giovani a rispettare le convinzioni religiose degli altri, senza vedere in esse fattori di divisioni degli esseri umani. 26. In Italia non si pongono restrizioni all’abbigliamento della persona, purché liberamente scelto, e non lesivo della sua dignità. Non sono accettabili forme di vestiario che coprono il volto perché ciò impedisce il riconoscimento della persona e la ostacola nell’entrare in rapporto con gli altri (39).

Note (30) La sezione si sofferma sul grande tema della laicità e del diritto di libertà religiosa che viene posto in discussione sotto diversi aspetti dall’estendersi della multiculturalità. La laicità dello Stato è il frutto dell’evoluzione dell’Occidente verso la modernità ed ha le sue radici nello stesso cristianesimo che sin dall’inizio ha distinto la sfera temporale da quella spirituale (“rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”, Matteo, 22,21). Con le rivoluzioni giusnaturalistiche del XVIIXVIII secolo la distinzione tra spirituale e temporale è stata posta alla base dell’organizzazione dello Stato moderno, è stato affermato il diritto di libertà religiosa, e la separazione tra legge dello Stato e leggi confessionali. Per popolazioni che provengono da altre culture e professano altre religioni, la laicità dello Stato e la distinzione tra leggi civili e leggi confessionali costituiscono delle novità, e lo stesso diritto di libertà religiosa non è riconosciuto, o è riconosciuto solo parzialmente, mentre non è assicurato il diritto di fare proselitismo, di cambiare religione, e via di seguito. Si nega, cioè, quella mobilità religiosa che è strettamente connessa al principio di laicità. La tradizione islamica, almeno nei Paesi dove l’Islam è netta maggioranza, è forse la più distante rispetto all’evoluzione vissuta dagli ordinamenti occidentali, ma anche altre culture religiose possono incontrare difficoltà nell’accettare i principi di laicità di libertà religiosa. La sezione della Carta dei valori dedicata all’argomento si apre con l’affermazione del carattere laico dello Stato italiano e del riconoscimento pieno della libertà religiosa per tutti, cittadini e stranieri, in conformità al principio di cui all’articolo 19 della nostra Costituzione e alle ripetute affermazioni delle Carte internazionali sui diritti umani. (31) La formula è identica a quella di cui all’articolo 8, 1° comma, della Costituzione italiana. (32) I principi affermati delineano il carattere positivo e accogliente della laicità italiana, che in questo modo si differenzia da quella prevalsa nell’Ottocento che considerava la religione come “affare privato” e ne disconosceva il ruolo pubblico e sociale. Il carattere accogliente e positivo della laicità italiana ha diverse applicazioni. La Corte costituzionale, ad esempio, ha affermato che il carattere laico dello Stato è uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale, ma ha aggiunto che il nostro ordinamento riconosce il ruolo che la religione svolge nella società e nella vita collettiva. In armonia con questa impostazione la Carta dei valori afferma che l’Italia fonda la sua laicità su due punti essenziali: sul riconoscimento del patrimonio morale e spirituale di ciascuna religione, come fattore positivo per la vita collettiva, e sulla promozione del dialogo interreligioso e interculturale per favorire il rispetto della dignità umana e l’esaurimento di ogni forma di pregiudizio e intolleranza. La religione, quindi, è componente attiva della società e può in diverso modo interloquire con lo Stato. (33) Altra conseguenza del carattere positivo della laicità nell’ordinamento italiano è la previsione costituzionale di accordi tra Stato e Confessioni religiose per meglio definire le condizioni giuridiche di ciascuna di esse. L’articolo 7, 2° comma, della Costituzione prevede che i rapporti con la Chiesa cattolica siano regolati dai Patti Lateranensi, e successive modificazioni. L’articolo 8, 3° comma, afferma che i rapporti con le confessioni diverse dalla cattolica sono regolati da Intese stipulate con le relative rappresentanze. Per la stipulazione delle Intese sono necessarie determinate condizioni, tra le quali il fatto che gli statuti delle confessioni non contrastino con i principi dell’ordinamento giuridico, e che le confessioni si organizzino giuridicamente in modo da poter essere riconosciute dallo Stato italiano. Per alcune confessioni, ad esempio per quella islamica, questo obiettivo può sembrare difficile da raggiungere in ragione della sua strutturazione non unitaria; ma ciò non deve impedire che si faccia quanto possibile per dare all’Islam, che si riconosca nei principi di libertà e nei diritti umani, una condizione giuridica analoga a quella riconosciuta ad altre confessioni. (34) I principi stabiliti nel paragrafo 22 della Carta dei valori indicano ciò che sta fuori della tutela della libertà religiosa, e che non può in alcun modo invocare la religione per legittimarsi nella società. In primo luogo la religione non può giustificare la violenza, o l’istigazione alla violenza. Ciò vuol dire che eventuali censure o condanne religiose devono mantenersi nell’ambito confessionale senza debordare, direttamente o indirettamente, nella esaltazione della violenza o della coercizione nei confronti di nessuno. Altrettanto, i principi di libertà e i diritti della persona non possono essere violati nel nome di alcuna religione. In questo modo la Carta dei valori pone l’esigenza che le religioni si evolvano riconoscendo il ruolo che la libertà e i diritti umani svolgono per la vita collettiva. Infine, si ricorda che la legge, civile e penale, è eguale per tutti, a prescindere dalla religione di ciascuno, ed unica è la giurisdizione per chi si trovi sul territorio italiano. Questo principio è stato già affermato, nel nostro ordinamento, dalla Legge (piemontese prima, poi italiana) 9 aprile 1850, n. 1013. Si è reso necessario riproporlo nella Carta dei valori per ribadire che in Italia non è ammissibile la rilevanza di leggi confessionali (come la sharì’a) per determinate persone, a causa della loro appartenenza confessionale. (35) La Carta dei valori riassume nel paragrafo 23 i contenuti più importanti del diritto di libertà religiosa e di coscienza, in sintonia con le Carte europee e internazionali dei diritti umani. Si ricorda, per tutte, l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo per il quale “ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti”. Per l’articolo 9, n. 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo del 1950, “la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui”. Il diritto di libertà religiosa e di coscienza assume un ruolo fondamentale per cittadini e stranieri e riconosce la legittimità di ogni possibile opzione in materia religiosa o ideologica. Il riferimento all’osservanza delle prescrizioni religiose sta a significare che essa è lasciata alla libera volontà individuale, e non può contrastare con le norme penali e con i diritti degli altri (cfr. nota 34). (36) La libertà di ricerca, di critica e di discussione, è già compresa nell’enunciazione del diritto di libertà religiosa e di manifestazione del pensiero. Tra l’altro, uno specifico riferimento normativo, per l’Italia, era contenuto nell’articolo 2 della Legge delle Guarentigie del 1871 (“la discussione sulle materie religiose è pienamente libera”), ed è stato confermato nell’articolo 5 della Legge 1159/1929 (tuttora vigente) per il quale “la discussione in materia religiosa è pienamente libera”. Si è ritenuto necessario richiamare questo principio fondamentale di libertà perché in diverse circostanze sono state emesse violente fatwa di condanna contro persone che avevano esposto tesi non condivise in materia storica e religiosa, con conseguenze a volte tragiche per le persone coinvolte. La libertà di ricerca, e di critica, è stata alla base dell’evoluzione del pensiero, e dello sviluppo della conoscenza, e costituisce quindi un patrimonio prezioso per l’individuo e per la società. La Carta dei valori ricorda anche il divieto per le offese alla religione e ai sentimenti religiosi delle persone, contenuto dagli articoli 403 e 404 del Codice penale italiano. Le offese alla religione sono il retaggio di cattivi costumi o di tendenze anticlericali estreme che l’affermazione dei diritti umani dovrebbe far esaurire. (37) Il principio riguarda il diritto individuale a celebrare il matrimonio, naturalmente in forma civile, che non può essere condizionato all’appartenenza confessionale degli sposi o di uno di essi. Ad esempio per la legge islamica mentre un uomo musulmano può sposare una donna non musulmana, non può avvenire l’inverso, cioè una donna musulmana non può sposare un uomo di fede non islamica. Per l’articolo 16 della Convenzione internazionale per la eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, si devono eliminare le disparità in tutte le questioni connesse al matrimonio, in particolare occorre garantire il diritto della donna di contrarre matrimonio, di scegliere liberamente il proprio congiunto e di contrarre matrimonio soltanto con libero e pieno consenso. (38) La Carta dei valori affronta un altro tema sensibile della multiculturalità e lo fa nello spirito della laicità accogliente. Afferma infatti che tutti i simboli e i segni delle religioni meritano il rispetto, ferma restando la tradizione religiosa e culturale italiana, e nessuno può ritenersi offeso dai simboli e dai segni di religioni diversi dalla sua. In questo modo, l’ordinamento italiano non segue la strada scelta da altri Paesi europei che hanno proibito di portare segni religiosi che non siano di piccola misura. Emerge, in questo modo, il valore della tradizione italiana la quale, conoscendo da sempre una tipologia simbolico-religiosa molto ricca (a livello architettonico, culturale, di vestimenti), non avverte ostilità verso nuovi simboli o segni religiosi. In aggiunta a questo principio la Carta dei valori ricorda che l’educazione dei giovani deve essere fondata sul rispetto delle convinzioni degli altri, evitando di vedere in esse fattori di divisione degli esseri umani. Per i molteplici riferimenti delle Carte internazionali sui diritti umani a questo argomento si ricorda l’articolo 29, lett. c), della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, per il quale occorre “preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi”. Anche la Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, approvata nel 1995 dal Consiglio d’Europa chiede che “sia promosso lo spirito di tolleranza e il dialogo interculturale, e siano adottate misure efficaci per favorire il rispetto e la comprensione reciproca e la cooperazione tra tutti coloro che vivono sul loro territorio, quale che sia la loro identità etnica, culturale, linguistica o religiosa, specialmente nel campo dell’educazione, della cultura e dei media”. (39) Altra importante applicazione del carattere accogliente della laicità è relativa alla questione del velo, e delle fogge di vestiario connesse con prescrizioni religiose o con tradizioni culturali. La Carta dei valori ricorda che l’Italia non pone restrizioni all’abbigliamento della persona, purché liberamente scelte, e non lesivo della sua dignità. In questo modo, l’Italia non impedisce l’uso del c.d. velo dal momento che questo non è di ostacolo alla identificazione della persona, e non segue la strada scelta da altri Paesi europei, in particolare dalla Francia. In alcuni Paesi europei si è giunti al punto di negare validità, per il rilascio di un documento, alla foto-tessera nella quale un vescovo era ritratto con il clergyman, e si è proibito ad un sacerdote e a una suora di accedere all’edificio scolastico dove svolgevano le rispettive funzioni con l’abito religioso. L’Italia non ha mai assunto atteggiamenti del genere, né prevede divieti di questo tipo. Le preclusioni previste dall’ordinamento italiano riguardano, invece, l’imposizione del velo, o di altre forme di abbigliamento, a chi non voglia indossarlo, e l’uso di vestimenti che coprano il volto fino al punto di impedirne la identificazione, anche perché in questo modo la persona viene ostacolata nella sua socializzazione. Dal punto di vista del diritto positivo, l’articolo 85 del Regio Decreto 18 giugno 1981, n. 773 (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza) fa divieto di indossare un abbigliamento che non consenta l’identificazione immediata in luogo pubblico, mentre l’articolo 5 della Legge 22 maggio 1975, n. 152, proibisce l’uso di caschi protettivi o di altro mezzo che renda difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. Invece, per quanto riguarda le forme di abbigliamento che non coprono interamente la persona, la Circolare del Ministero dell’Interno n. 4/95 del 14 marzo 1995 autorizza l’uso del copricapo nelle fotografie destinate alle carte di identità, e la Circolare del 14 luglio 2000 dello stesso Ministero precisa che il turbante, il chador e il velo, imposti da motivi religiosi “sono parte integrante degli indumenti abituali e concorrono, nel loro insieme, ad identificare chi li indossa, naturalmente purché si mantenga il viso scoperto”.

 
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Pubblicato il: Venerdì, 08 Agosto 2008 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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