22/12/2016
La coppia è fuggita dai pericoli vissuti in Nigeria e in Libia, arrivando inizialmente al Campo della Protezione CivileMarco, il bimbo nato da profughi nigeriani in Trentino
All’orizzonte, sopra le montagne nella zona di Vigolo Vattaro sull’Altopiano della Vigolana, in Trentino, le nuvole si diradano lentamente. In questo paese, dove quest’anno si è già fatto vedere qualche fiocco di neve, vive da poco tempo una coppia originaria della Nigeria nell'ambito del progetto di accoglienza richiedenti protezione internazionale coordinato dal Cinformi della Provincia autonoma di Trento e attuato in collaborazione con il terzo settore.
Andiamo a trovarla in un giorno di fine autunno 2016 accompagnati dall’operatore di accoglienza Andrea Bortolotti, che li sostiene nel percorso di inserimento nella comunità. In macchina con noi sale anche la giovane Sikiratu, che ha appena finito la lezione del corso di italiano che frequenta tutte le mattine dal lunedì al giovedì presso la sede del Cinformi a Trento. A casa ci aspetta quindi solo il suo compagno con il piccolo Marco, di quasi tre mesi.
Gbolahan e Sikiratu, rispettivamente 25 e 22 anni, sono arrivati in Trentino nel mese di agosto 2016. Poco dopo è nato il loro bambino che hanno chiamato Marco. Un nome proposto da Elena Rinaldi, operatrice della prima accoglienza che era presente all’ospedale di Trento al momento del parto. Un momento molto emozionante, come racconta la stessa referente. Nessuno dei due giovani nigeriani aveva già pensato a un nome per il bimbo. Il nome Marco è piaciuto subito, anche perché ha un significato particolare. È un modo per ricordare il campo della Protezione Civile di Marco di Rovereto (dove la coppia nigeriana è stata accolta per la prima volta in Trentino) e per esprimere gratitudine all’Italia per essere stati soccorsi e per l’aiuto ricevuto dalla comunità trentina attraverso gli operatori dell'accoglienza: assistenti sociali, psicologi, operatori legali e per l'orientamento al lavoro, mediatori interculturali e tutte le altre figure professionali coinvolte, senza dimenticare il prezioso contributo dei volontari.
Senza entrambi i genitori, la coppia nigeriana è scappata in cerca di serenità
È il giovane Gbolahan a raccontare più volentieri la propria storia, mentre per Sikiratu parlare del passato in Nigeria è più difficile. Al posto delle parole scivolano lentamente le lacrime dai suoi grandi occhi e la giovane mamma si chiude in un mondo tutto suo.
Gbolahan e Sikiratu vengono da Lagos, una città della Nigeria di circa 16 milioni di abitanti, la più popolosa dello stato e dell'Africa intera. Entrambi i giovani sono orfani. Nikiratu è rimasta senza genitori fin da quando era piccola ed è cresciuta assieme all’unica sorella, la ragazza più giovane del quartiere.
Gbolahan, invece, ha perso prima il padre e poi la madre nel 2015. Il padre è stato ucciso da persone che volevano prendersi con la forza le sue terre, fenomeno conosciuto come “Land Grabbing”, mentre sua madre è morta a causa di un infarto. Il giovane nigeriano ha avuto la fortuna di studiare e diplomarsi dopo avere frequentato un istituto d’istruzione commerciale. La paura di fare la stessa fine di suo padre l’ha spinto ad andare lontano dal paese d’origine.
Così, nello stesso anno della morte del papà, è scappato dalla Nigeria e dopo un viaggio in macchina e in furgone ha attraversato il Niger arrivando in Libia, dove grazie alle competenze acquisite nell’ambito del commercio ha avviato un’attività di lavaggio macchine assieme ad altre persone. Metà di quanto guadagnavano era riservato a lui. Dopo circa quattro mesi è riuscito a far arrivare dalla Nigeria anche la compagna Sikirato. Le ha trovato un lavoro come addetta alle pulizie in un ospedale, occupazione per la quale la giovane non è però mai stata pagata. La loro vita era sempre segnata dal terrore di essere rapinati o picchiati, come la maggior parte delle persone dell’Africa subsahariana che vivono in Libia. Vista la situazione, hanno cominciato a pensare come fuggire ancora e andare in un luogo dove trovare pace e avere una vita serena.
La prima volta che hanno provato a salire su un barcone per raggiungere l’Europa è finita male; i duemila dollari pagati allo scafista sono andati in fumo. Hanno quindi aspettato una seconda opportunità. Sikiratu era incinta e prossima al parto. Hanno dovuto pagare altri duemila dollari, ma il secondo tentativo è andato a buon fine e la giovane coppia è riuscita a salire sulla barca. Sono seguite ore e ore di terribile viaggio in mare. Erano in tanti ammassati, quasi non riuscivano a muoversi. Si sentivano pianti e lamenti a causa dei dolori a mani e piedi. In queste condizioni, Gbolahan e Sikiratu hanno viaggiato fino a quando sono stati salvati dalle navi di soccorso italiane. Immensa la loro gioia nel sentirsi finalmente al sicuro. “Grazie all’Italia, grazie a Dio”, hanno subito esclamato. Momenti che non potranno mai dimenticare.
Ora Gbolahan e Sikiratu sono felici di vivere in una casa normale, di avere del cibo, dei vestiti, di crescere il figlio Marco in una terra di pace e di imparare, innanzitutto frequentando i corsi di italiano. In futuro vorrebbero conoscere anche la gente del paese, fare amicizie, trovare un lavoro, raggiungere al più presto la propria totale autonomia e poi sposarsi e avere altri figli.