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Immigrazione e imprenditoria, il quadro di Idos, CNA e OIM

01/06/2020

Dinamismo e crescita sono le parole chiave del lavoro indipendente dei cittadini stranieri

Una fotografia dell’eterogeneo universo dell’imprenditorialità immigrata per comprenderne le caratteristiche e le articolazioni. Il quadro è fornito dal Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2019-2020 realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con la Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA) e con il contributo dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM) - Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo.

Quadro europeo
I dati della Labour Force Survey di Eurostat continuano ad attestare la costante crescita dei lavoratori autonomi e degli imprenditori di origine immigrata che, associata al tendenziale calo di quelli autoctoni, ne conferma il ruolo crescente. Nel 2018, nell’UE a 28 precedente la Brexit, il 12% degli oltre 30,2 milioni di lavoratori indipendenti è di origine immigrata: il 4,4% proviene da un altro Paese dell’UE e il 7,3% ha un’origine non comunitaria.
Gli ultimi dati disponibili delineano dunque un quadro in cui alla crescita quantitativa del lavoro indipendente dei migranti stenta ad associarsi un progressivo consolidamento delle attività avviate. Una prospettiva che, al contrario, sembra cedere il passo a un quadro di lieve deterioramento generale (o almeno di diffusa fragilità) che non potrà che risultare aggravato dall’impatto delle evoluzioni più recenti.

Quadro italiano
Nel corso degli ultimi anni, in controtendenza rispetto al resto della base imprenditoriale del Paese, il numero delle attività indipendenti dei cittadini immigrati in Italia ha continuato a crescere. Tra il 2011 e il 2018, mentre le imprese guidate da lavoratori nati in Italia diminuivano del 2,8% (-158mila), quelle gestite da lavoratori immigrati sono aumentate del 32,6% (+148mila), superando la soglia delle 600mila unità. Il trend è continuato anche nel corso del 2019, portandone il numero a 616mila e l’incidenza sul totale delle imprese al 10,1%.
Le ditte individuali superano i tre quarti del totale: 77,7% (vs il 49,3% tra le imprese “autoctone”). Il commercio (35,1%, 211mila), soprattutto al dettaglio, e l’edilizia (22,4%, 135mila) si confermano come i principali ambiti di inserimento. Resta bassa la partecipazione delle donne, che gestiscono poco meno di un quarto delle imprese considerate (145mila, 24,0%).
Il quadro dei principali Paesi di origine degli imprenditori coinvolti (individuati grazie ai dati sui titolari di imprese individuali) evidenzia un ristretto gruppo di nazionalità che solo in parte rimanda alle collettività più numerose tra gli immigrati in Italia. I nati in Marocco (14,1%), Cina (11,5%) e Romania (10,7%), seguiti dagli originari di Albania (6,9%) e Bangladesh (6,6%), coprono la metà del totale e mostrano tutti specifiche tendenze alla concentrazione settoriale. Marocchini e bangladesi convergono soprattutto nel commercio (rispettivamente, nel 70,1% e nel 64,3% dei casi), romeni e albanesi verso l’edilizia (60,0% e 68,8%), mentre i cinesi – caratterizzati da un modello di inserimento diversificato e flessibile – si raccolgono soprattutto nel commercio (35,7%), nella manifattura (32,7%) – dove rappresentano la metà di tutti gli immigrati (49,3%) – e nei servizi di alloggio e ristorazione (13,4%).
Nel quadro degli ambiti di inserimento, si rafforza il ruolo del terziario.
Cresce secondo ritmi accentuati anche la partecipazione delle donne immigrate, che lentamente ma con continuità si ritagliano maggiori spazi di azione. Dopo un aumento del 37,4% rispetto al 2011, alla fine del 2018 sono 145mila le imprese immigrate femminili, il 24,0% del totale delle imprese immigrate e il 10,8% di tutte le imprese femminili del Paese.

Leggi la scheda completa del Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2019-2020

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Pubblicato il: Lunedì, 01 Giugno 2020

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