Vai menu di sezione

"Il cuore in patria"

17/10/2007

“È motivo per noi di grande soddisfazione presentare oggi questo lavoro di ricerca"...

“È motivo per noi di grande soddisfazione presentare oggi questo lavoro di ricerca, che si è mosso proprio con l’intento di ascoltare donne straniere con figli e che hanno vissuto la separazione da questi, per poter fare luce anche sul loro vissuto di madri, non solo di lavoratrici, e per esaminare più da vicino i modi di gestione della famiglia a distanza così come i nodi del ricongiungimento dei figli in Italia.”

E’ un passaggio dell’intervento con cui l’assessore alle Politiche sociali della Provincia autonoma di Trento, Marta Dalmaso, ha aperto stamani, alla Facoltà di Economia, nel capoluogo, la presentazione della ricerca “Il cuore in patria. Madri migranti e affetti lontani: le famiglie transnazionali in Trentino”.

La Provincia autonoma di Trento, attraverso il Centro informativo per l'immigrazione (Cinformi) dell'assessorato alle Politiche sociali, ha realizzato una ricerca empirica sulle famiglie transnazionali dedicata specificatamente al caso trentino. Si tratta di un’esplorazione delle esperienze biografiche delle madri migranti e delle relazioni instaurate con i figli a distanza.

“Il distacco delle madri migranti dai figli – ha detto tra l’altro l’assessore Dalmaso – non è un fenomeno secondario e transitorio: deve dunque crescere anche nel dibattito pubblico sull’immigrazione, come pure nelle strategie d’intervento delle comunità locali, la consapevolezza dell’esperienza della maternità transnazionale e della sua portata per la società.”

Una delle più rilevanti trasformazioni della nostra società è emersa con l’arrivo in Italia di molte donne straniere per motivi di lavoro. In particolare, lavoratrici domestiche, provenienti soprattutto dall’Est Europa, che si sono inserite al centro delle relazioni più intime e personali di un numero sempre più crescente di famiglie italiane. Nell’immaginario collettivo queste donne sarebbero sole, ma in realtà lo sono soltanto sotto il profilo della contiguità spaziale. Infatti, il loro percorso migratorio e la loro vita lavorativa si inseriscono quasi sempre in uno scenario più ampio e complesso, segnato da affetti familiari e da separazioni dolorose. Nel dibattito scientifico raramente sono state esplorate le conseguenze del percorso migratorio per queste donne e per le loro famiglie. Di qui la scelta, da parte della Provincia, attraverso il Cinformi, di realizzare la ricerca presentata stamane. Alla presentazione sono intervenuti, oltre all’assessore Dalmaso, il professor Maurizio Ambrosini dell’Università di Milano e il dottor Paolo Boccagni dell’Università di Trento (curatori della ricerca), la dottoressa Serena Piovesan dell’area studi Cinformi (che ha seguito la raccolta dei dati) e la dottoressa Kyoko Shinozaki dell’Università di Francoforte, che ha realizzato uno studio sugli immigrati filippini impegnati nel lavoro domestico in Germania.

Ecco cosa è emerso dalla ricerca:

Il profilo migratorio delle “madri transnazionali” che affiora dalla ricerca in Trentino è quello di donne primo-migranti provenienti per lo più dall’Europa orientale o post-sovietica (e, in misura inferiore, dall’America Latina). Prevale, all’interno del campione (circoscritto a donne straniere con i figli ancora in patria o ricongiunti da pochi anni), la componente di chi, anche a vari anni dall’arrivo in Italia, ha solamente figli rimasti la paese d’origine (soprattutto nelle fila di ucraine e moldave). Delle intervistate, meno della metà – e una quota di appena il 20-30%, per moldave e ucraine – vive in immigrazione con il proprio coniuge. Si tratta, in altre parole, di percorsi biografici segnati da una diffusa “destrutturazione familiare”, che si pone in un rapporto circolare con la migrazione: ne può essere una delle cause, nel senso che emigrano da sole soprattutto donne che hanno alle spalle storie matrimoniali infelici e trovano nella partenza una modalità socialmente accettabile per sottrarsi ad una convivenza divenuta insopportabile; ma la destrutturazione familiare rischia, a sua volta, di venire ulteriormente aggravata dall’emigrazione, specie per quanto riguarda i rapporti tra coniugi, generalmente assai meno “resistenti” a una lontananza prolungata, rispetto a quelli tra genitori e figli.

In ambito lavorativo, le madri transnazionali in Trentino sono concentrate in misura prevalente, ma non esclusiva, nel lavoro di cura (coresidenziale o a ore), così come nel “terziario povero” delle pulizie e della ristorazione. Guardando alle loro interazioni con le istituzioni della società autoctona, si rileva un grado di fruizione rilevante delle strutture sanitarie (e degli spazi di incontro forniti dalle parrocchie), ma modesto – e in molti casi nullo – rispetto alle associazioni (autoctone o di connazionali), ai servizi sociali, ai consultori, ai sindacati. Limitando lo sguardo a quante hanno ricongiunto i figli, spicca – in quanto a “risorse d’aiuto” su cui le madri-lavoratrici possono fare affidamento – il ruolo della scuola, più che quello dei familiari o dei parenti (laddove presenti), degli amici, o dei connazionali.

Dal versante delle madri transnazionali, le persone che più si prendono cura dei figli rimasti a casa sono i nonni, e in particolare le nonne materne, più spesso che i coniugi (o gli ex coniugi) rimasti eventualmente in patria. Nella comunicazione a distanza con i figli, cui tutte le intervistate sembrano dedicarsi in modo sistematico (pur consapevoli, forse, della sua insufficienza rispetto a un rapporto di prossimità), l’utilizzo (almeno settimanale) del telefono prevale su ogni altro possibile canale. Da segnalare, almeno per le migranti est-europee, l’abitudine a inviare doni e pacchetti a casa con relativa facilità. Un dato, invece, che accomuna la totalità del campione è l’invio, per lo più a cadenza mensile, di rimesse a favore dei figli e di quanti si prendono cura di loro.

Al di là delle diverse rappresentazioni delle potenzialità e dei limiti della relazione di “accudimento a distanza” dei figli, vale infine la pena evidenziare che le “aspettative di futuro” delle madri migranti si possono ricondurre a due orientamenti distinti: la convinzione che “nel giro di qualche anno” i figli saranno ormai ricongiunti in Italia, e la più disincantata opinione che sia semplicemente impossibile, data la sofferta quotidianità in cui si vive, individuare una qualche “direzione” nel futuro (proprio e dei figli), anche a breve termine. Marginale, per contro, la percentuale di quante prevedono di ritornare a casa a breve (al di là di un generico “mito del ritorno”, collocato in un futuro indefinito, che è comune a molte di loro).

torna all'inizio del contenuto
Pubblicato il: Giovedì, 18 Ottobre 2007 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

Valuta questo sito

torna all'inizio del contenuto