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Donne migranti e abusi

20/01/2020

Ricerca quanti-qualitativa di Fondazione L’Albero della Vita e
Fondazione ISMU

“Le donne sono, durante tutto il percorso migratorio, maggiormente esposte alla tratta di esseri umani, allo sfruttamento, alla discriminazione e all’abuso, specialmente quando viaggiano da sole. Tali violenze possono verificarsi in diverse fasi del percorso migratorio: a volte già nel Paese di origine, altre volte durante il viaggio o anche una volta arrivate in Europa.”
Ad affermarlo è la Fondazione L’Albero della Vita, curatrice, assieme a Fondazione Ismu, di un’indagine quanti-qualitativa rivolta a operatori e gestori di centri di accoglienza presenti in Paesi coinvolti nel progetto “SWIM” (Italia, Francia, Gran Bretagna, Svezia e Romania) con lo scopo di indagare il fenomeno della violenza di genere. “SWIM” – Safe Women in Migration è un’iniziativa finanziata dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione Europea (2014-2020) per tutelare la fascia più vulnerabile di persone coinvolte nei percorsi migratori: le donne adulte e minorenni.
Secondo la ricerca condotta nell’ambito del progetto, la maggior parte delle donne che si è interfacciata con gli operatori intervistati ha subito forme multiple di violenza ad opera di uomini conosciuti e trafficanti nel Paese di origine o durante il viaggio. La violenza fisica, sessuale e psicologica è presente in maniera significativa in tutti i Paesi. I casi di tortura sono stati rilevati soprattutto in Francia (49%) e in Italia (38%), mentre casi di mutilazioni genitali e matrimoni forzati sono frequentemente rilevati dagli operatori francesi. Ciò dipende in parte dal Paese di provenienza delle donne richiedenti asilo e rifugiate, dove queste specifiche forme di violenza contro le donne sono maggiormente attuate.
Le violenze di genere legate all’orientamento sessuale dei migranti sono rilevate in misura più contenuta particolarmente in Italia (10%) e in Svezia (18%). Le differenti forme di violenza sono perpetrate più frequentemente da uomini che sono vicini alle donne migranti e che fanno parte del nucleo familiare soprattutto per quanto rilevato dalle operatrici francesi e svedesi ed in misura leggermente minore dalle britanniche. Per le operatrici italiane, invece, i soggetti principali delle violenze sono i trafficanti. I famigliari sono riconosciuti come responsabili di “offrire” ai trafficanti le donne nel percorso migratorio in maniera rilevante in Francia e Svezia, meno in Italia.
In base alle testimonianze delle operatrici di tutti i Paesi coinvolti le violenze hanno luogo prevalentemente nel Paese di origine, mentre il 28% delle operatrici italiane individua nel viaggio il momento in cui le donne migranti risultano essere più a rischio (62%). Questo dipende almeno in una certa misura dalle tratte migratorie utilizzate dalle donne per arrivare nei diversi Paesi coinvolti nel progetto SWIM.
Per quanto riguarda la vulnerabilità, le donne migranti richiedenti asilo e rifugiate sono viste come fortemente a rischio di subire violenza di genere da circa il 40% degli operatori italiani, francesi e svedesi, mentre la percentuale
per gli operatori inglesi scende ad un quarto dei rispondenti.
Complessivamente, gli operatori di tutti i Paesi pensano che le donne migranti subiscano violenze più frequentemente di quanto emerge. Gli operatori italiani (82%) pensano che le donne migranti provengano da un Paese la cui cultura prevede la violenza di genere, mentre per gli operatori degli altri Paesi l’accordo nei confronti di questo tipo di argomentazione scende intorno al 50% o addirittura al 30% per gli operatori svedesi.

Per approfondire: comunicato stampa Fondazione Ismu

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Pubblicato il: Lunedì, 20 Gennaio 2020

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