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Casa, no a concentrazione dei più poveri

09/05/2007

Come affrontare il “problema casa” per la fascia della popolazione più povera? Quali soggetti, fra pubblico e privato, devono farsi carico...

Come affrontare il “problema casa” per la fascia della popolazione più povera? Quali soggetti, fra pubblico e privato, devono farsi principalmente carico della questione abitativa fornendo una valida risposta anche ai cittadini stranieri? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, il Centro studi investimenti sociali.

Il problema casa resta una delle questioni aperte sul fenomeno migratorio; quali possono essere le soluzioni per risolvere questa emergenza? Innanzi tutto dobbiamo pensare che su circa 1.100.000 nuclei di immigrati che domandano casa alcuni hanno la capacità di risolvere il problema da sé; abbiamo un 12% che sono già proprietari, abbiamo un’ulteriore quantità di un 20% che vorrebbero diventare proprietaria di un’abitazione. Quindi non dobbiamo generalizzare il problema, dobbiamo individuare però quelle che sono le fasce di disagio, che sono fasce che esistono anche nella popolazione italiana, quella ad esempio delle pensioni minime, quella di chi ha basso reddito e non ha una casa propria. È chiaro che le soluzioni, a mio modo di vedere, non possono essere quelle tipiche dell’intervento pubblico: abbiamo tanti con difficoltà di abitazione, costruiamo o recuperiamo tanti alloggi e li diamo… e sappiamo che questa è una soluzione che ha creato dei privilegi, non sempre risolto dei problemi e soprattutto ha realizzato i quartieri che teoricamente dovevano essere più avanzati socialmente ma poi, concentrando la popolazione più povera, la popolazione più diseredata, più disagiata finiscono per essere i quartieri dove si vive peggio. Non è il caso di rifare questa esperienza dopo 50 anni con gli immigrati. Quindi la soluzione si può trovare, perché ci sono le condizioni economiche per farlo, creando soprattutto progetti a livello locale con gli Enti locali, con il mondo dell’impresa, con il terziario sociale, con le cooperative, con tutti coloro i quali pensano di poter realizzare programmi integrati per ceti a basso reddito ma anche per ceti medi, per gli immigrati ma anche per italiani, in un’armonia possibile e profilando l’offerta su quelle che sono le esigenze; chi ha pochi soldi sarà in carico in parte sulle finanze pubbliche con un affitto sociale magari integrato dagli Enti locali o da fondi statali in modo da poter arrivare al valore necessario a ripagare l’investimento e poi ci saranno gli altri: canoni concordati, affitto privato, proprietà. Io credo che questa sia una buona soluzione che non esclude l’intervento pubblico per le aree di maggiore sofferenza che però individuiamo in 150-170.000 nuclei di immigrati su un milione. Non dobbiamo costruire nuovi quartieri, dobbiamo riorganizzare quello che abbiamo, magari buttando giù vecchie case popolari costruendone di nuove e tutto con un’integrazione tra pubblico e privato.

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Pubblicato il: Lunedì, 03 Settembre 2007 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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