04/12/2014
Secondo i dati dell’Unhcr sono 10 milioni gli apolidi nel mondoApolidia, adesione Italia a Convenzione Onu
L'Italia ha ufficialmente aderito alla Convenzione Onu sulla riduzione dell'apolidia. Un apposito ddl è stato infatti recentemente approvato dal Consiglio dei ministri. La Convenzione affonda le radici a New York il 30 agosto 1961. Nel comunicato stampa del governo italiano si legge che “l’Italia ha ratificato la Convenzione relativa allo status degli apolidi del 1954, ma solo ora apre la strada all’adesione alla Convenzione sulla riduzione dell’apolidia del 1961, per rafforzare le tutele esistenti e rendere più trasparenti le procedure in materia di prevenzione dell’apolidia, tenuto conto che la legislazione italiana in materia è già pienamente garantista dei diritti sanciti dalla Convenzione”.
Al fine di garantire il godimento dei diritti elencati dalla Convenzione, diritti dei quali sono titolari le persone apolidi, l’Italia ha istituito una procedura per il riconoscimento dello status di apolidia attivabile in via amministrativa o giudiziaria. La procedura per la certificazione in via amministrativa attestante lo status di apolidia, disciplinata dall’art. 17 del D.P.R. n. 572/93 “Regolamento di esecuzione della legge 91/92”, è competenza del ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione.
Il fenomeno dell’apolidia
L’apolidia è la condizione di un individuo che nessuno Stato considera come suo cittadino per applicazione della sua legislazione (art. 1 A della Convenzione del 1954 relativa allo status delle persone apolidi), e al quale, di conseguenza, non viene riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità né assicurato il godimento dei diritti ad essa correlati.
Secondo dati diffusi dall’UNHCR, che recentemente ha lanciato anche una campagna per porre fine all’apolidia nei prossimi dieci anni, a 50 anni dalla Convenzione internazionale che istituiva lo status di apolide, sono ancora dieci milioni le persone alle quali è negata una cittadinanza nel mondo. Spesso sono le minoranze etniche ad essere colpite, mentre un terzo degli apolidi sono bambini. Le guerre sono una delle cause principali dell’apolidia nel mondo: il 20% di tutti i rifugiati reinsediati dall’Unhcr nell’ultimo quinquennio erano anche apolidi e tra le eredità di quattro anni di guerra in Siria, ci sono oltre 50mila bambini che non sono mai stati registrati all’anagrafe perché nati da rifugiati siriani in Giordania, Iraq, Libano, Turchia ed Egitto.
Si può essere apolidi per generazioni, come succede ai bihari del Bangladesh, a 600mila ex cittadini sovietici ancora senza nazionalità a più di vent’anni dalla disgregazione dell’Urss, e agli oltre 800mila rohingya di fede islamica che in Myanmar, l’ex Birmania, si sono visti rifiutare la cittadinanza sulla base di una legge del 1982 che ne limita fortemente la libertà di movimento, quella religiosa e l’accesso all’istruzione. Ma si può anche diventare apolidi dal giorno alla notte: è successo nel 2013 a decine di migliaia di dominicani di origine haitiana, a cui una sentenza della Corte Costituzionale ha revocato la cittadinanza e i diritti ad essa connessi.
In Italia gli apolidi sarebbero 15mila de facto, secondo i dati della Comunità di Sant’Egidio, ma solo 900 quelli riconosciuti. Si tratta per la maggior parte di rom dell’ex Jugoslavia, spesso in Italia da due o tre generazioni, e per il resto di persone provenienti soprattutto dall’ex Urss, dalla Palestina, Tibet, Eritrea ed Etiopia.