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Trento, “Ri.create” e il coraggio di vivere e fare

04/09/2015

Laboratorio di sartoria con richiedenti protezione internazionale e rifugiati

Entusiasmo, coraggio, voglia di conoscere e aiutare chi da poco o da tempo è arrivato da altri Paesi in Trentino, in particolare i richiedenti protezione internazionale e i rifugiati. E’ nata così l’idea di due giovani trentine, Elena Simonetti e Valentina Merlo, che si sono avvicinate al mondo dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale prima grazie al Servizio civile e poi come operatrici del Centro Astalli di Trento che collabora col Cinformi, con Atas onlus e con l'intera rete dell'accoglienza.
“Abbiamo notato che la cantina del centro Astalli si riempiva di vestiti donati dalla gente ai giovani migranti richiedenti protezione internazionale; vestiti che potevano essere valorizzati”, racconta Valentina Merlo. “Ci è venuta l’idea di riciclarli creando un laboratorio con il coinvolgimento dei giovani richiedenti protezione internazionale. Lo spazio per il riuso dei tessuti l’abbiamo individuato presso il Centro sociale Bruno di Trento e l’abbiamo sistemato con l'aiuto dei giovani migranti. Inoltre – spiega Valentina – il progetto, chiamato “Ri.create”, comprende anche il laboratorio di orticoltura che si svolge a Villazzano ogni pomeriggio di martedì e mercoledì all'orto Villano dell'associazione Richiedenti Terra, nata nel 2011”.
Ad aprile 2015 una stanza che si trova al primo piano del Centro sociale Bruno di Trento a Piedicastello, trasformata in laboratorio di riuso tessuti, era pronta per aprire le porte. A coordinare le attività del laboratorio è Franca Bertagnolli e ad appoggiare economicamente il laboratorio sono la Fondazione Caritro e il Csv (Centro servizi volontariato) di Trento. La coordinatrice, Franca, ha 62 anni e una passione per la sartoria da quando era bambina. “All’inizio – racconta – ho collaborato con l’associazione Richiedenti Terra e poi mi sono offerta di spendere qualche ora la settimana nel laboratorio di riuso tessuti con le ragazze e i ragazzi accolti in Trentino come richiedenti protezione internazionale”.
Tornando alla sartoria sociale, i giovani partecipanti sono ragazzi in attesa di una risposta dalla Commissione alla loro richiesta di protezione internazionale e che quindi, nel frattempo, hanno un grande desiderio di impiegare le giornate in modo costruttivo. E questo è ciò che avviene nei due pomeriggi di martedì e di giovedì nei quali i giovani imparano ad usare una macchina da cucire, apprendono nozioni utili nel mondo del lavoro, conversano in italiano, raccontano le proprie storie di vita e ascoltano quelle dei loro compagni di viaggio e di chi li ha accolti. Recentemente si è concluso un primo ciclo di circa due mesi di corso al quale hanno partecipato cinque ragazzi e nelle scorse settimane ne è partito un altro. “Servirebbe però – dice Valentina Merlo – la collaborazione di più volontari e sarebbe importante anche poter contare su altri fondi per andare avanti con le attività della sartoria sociale”.
Il tempo trascorso dai giovani richiedenti protezione internazionale in compagnia della signora Franca è molto prezioso. Hassan (29 anni) e Wajid (28 anni), originari del Pakistan e Mamadou (20 anni) del Mali sono alcuni dei ragazzi che frequentano il secondo ciclo del laboratorio. Wajid e Mamadou hanno già fatto delle esperienze nel campo della sartoria nel loro Paese di origine. Hasan invece si è occupato del commercio delle stoffe in Pakistan. Tutti e tre sono da circa un anno in Trentino. Vengono volentieri al laboratorio perché, come spiega Wajid, possono anche parlare in italiano e apprendere ogni volta qualche nuova parola. Riescono anche a sorridere nonostante il ricordo della paura del mare attraversato per raggiungere l’Italia dalla Libia. Una paura ancora da affrontare perché per questi ragazzi, come racconta Wajid, “mare vuol dire morte per me e non voglio più vederlo”. Anche Mamadou ha dovuto salire sul barcone per venire in Europa. In Mali era orfano, senza genitori.
Bisogna – spiegano i ragazzi – avere coraggio per partire, camminare nel deserto per poi essere stipato in un barcone e attraversare in 24 ore il mare. Mamadou ancora non conosce la parola italiana “coraggio”, ma come tutti i migranti che hanno affrontato i “viaggi della speranza” ne ha interpretato oltre ogni limite il significato.

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Pubblicato il: Sabato, 05 Settembre 2015 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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