28/10/2011
La serata è stata organizzata dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Federazione trentina della cooperazione e dalla cooperativa Il CanaleSud Sudan fra incognite e speranze
Si è parlato di Africa ieri sera a Trento, alla sala della Cooperazione di Trento, in particolare di Sud Sudan, l'ultimo arrivato fra gli Stati che compongono il complesso mosaico del continente. Nato il 9 luglio scorso al termine di un lungo conflitto con il Governo centrale di Khartoum, seguito da un referendum che ha visto il trionfo dei "sì" al distacco dal Nord, il Sud Sudan oggi muove i suoi primi passi come Paese libero, consapevole delle speranze che coltivano le sue genti e i tanti profughi all'estero, ma anche delle incognite che deve affrontare. Alla serata, organizzata dalla Provincia autonoma di Trento, dalla Federazione trentina della cooperazione e dalla cooperativa Il Canale, hanno partecipato l'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza Lia Giovanazzi Beltrami, l'africanista dell'Università di Bologna Anna Maria Gentili, anche nel board del Centro per la formazione alla solidarietà internazionale di Trento, Azim Koko, operatore sociale sudanese, da anni in Trentino, e padre Kizito Sesana, missionario comboniano a Nairobi, già direttore del mensile "Nigrizia", con una lunga esperienza di Sudan alle spalle.
Lo scorso luglio, a Nairobi, il maestro Riccardo Muti ha tenuto uno straordinario concerto per festeggiare l'indipendenza del Sud Sudan, assieme a un centinaio di orchestrali italiani, ai missionari di quella parte dell'Africa e a tanti bambini degli slum. C'erano anche migliaia di profughi sudanesi, riparati nel vicino Kenya nel corso delle drammatiche vicende della guerra che per anni ha contrapposto il Sud al Nord. Lo ha ricordato ieri sera alla sala della Cooperazione l'assessore Beltrami, evocando i volti carichi di speranza delle famiglie che, finalmente, potevano sognare di rientrare a casa, in una terra libera, della quale potessero essere cittadini a pieno titolo. "Adesso torniamo a vivere", dicevano. Ma cosa sta accadendo a qualche mese da quegli eventi?
I problemi naturalmente sono enormi. Il Sud Sudan è un mosaico di popolazioni di ceppo nilotico, prevalentemente cristiano-animiste, tenute assieme fino ad oggi dal conflitto che le opponeva al governo di Khartoum, arabo-musulmano, dalla comune aspirazione alla libertà; adesso devono imparare a convivere. Ci sono poi naturalmente i problemi della povertà, della carenza di infrastrutture socio-sanitarie, e anche quelli generati dalle risorse di cui il Paese è ricco, come il petrolio, ma anche la terra, particolarmente fertile dove bagnata dal Nilo. Ci sono i conflitti nelle zone di confine, anche perché il nuovo Stato non ricomprende tutte le popolazioni che hanno combattuto per l'indipendenza, alcune sono rimaste sotto il controllo del Nord.
"Tuttavia - ha detto Anna Maria Gentili - dobbiamo respingere quell'atteggiamento un po' cinico che spesso hanno gli occidentali verso i paesi africani che acquistano l'indipendenza, che sottolinea solo le difficoltà o i fallimenti. Di fronte ad una cosa così grande bisogna avere un atteggiamento positivo. Lo stesso vale ad esempio per le primavere arabe. Per consolidare la democrazia ci vuole tempo, non si può pretendere che tutto si risolva dall'oggi al domani."
La guerra ha causato 2 milioni di morti; 6 milioni gli sfollati, molte le divisioni interne, spesso fomentate ad arte da chi ha ancora interesse a dividere il Paese. Eppure, quando il Sudan, tutto intero, ottenne l'indipendenza, nel 1956, il Sud voleva non tanto la secessione quanto una maggiore autonomia, ed il riconoscimento della pari dignità delle diverse culture presenti all'interno dei suoi confini.
"Ma non si poteva vivere in una situazione governata dall'ingiustizia - ha spiegato Azim Koko - . Oggi che abbiamo ottenuto la libertà ci auguriamo solo che il nostro futuro non sia come quello del delta del Niger, una regione ricca di risorse che però non vanno a beneficio delle popolazioni locali. Speriamo in un futuro di pace, a cui tutti possano dare il loro contributo. Un futuro che dovrà essere costruito innanzitutto dai giovani."
"Si e' arrivati all'indipendenza dopo un lungo cammino - ha chiosato padre Kizito, profondo conoscitore del Sud Sudan, dove ha speso una parte della sua vita e dove torna regolarmente dal vicino Kenya, dove attualmente dirige la radio cattolica - . Oggi vediamo in pari misura potenzialità e problemi. C'è comunque un entusiasmo straordinario. E' difficile per noi capire cosa sia l'indipendenza dopo anni di guerra e di discriminazioni, persino di semi-schiavitù. Ci vuole un impegno di tutti, anche di noi missionari, di cui la gente apprezza il grande lavoro sul piano sociale, mentre quello pastorale per anni è rimasto molto frenato. Dobbiamo continuare a camminare a fianco della gente e dobbiamo continuare ad essere una voce anche critica nei confronti delle scelte che vengono fatte." Scelte che riguardano ad esempio la terra: di chi saranno, in futuro, le regioni più fertili del Sud Sudan? Delle popolazioni che le hanno sempre abitate o delle multinazionali che puntano a farne delle enormi piantagioni, espellendo i contadini e i pastori o trasformandoli in manodopera priva di diritti? E' anche a domande come questa che il libero stato del Sud Sudan dovrà dare risposta.