04/06/2011
L'interrogativo affrontato con Francesco Daveri al Festival dell'Economia“Stranieri in casa nostra”
Come tutte le parole ripetute fino allo sfinimento, anche immigrazione ormai ha perso il suo significato. “L’immigrazione è una grande nebulosa, senza punti di riferimento”, a cui si tende ad approcciarsi solo con atteggiamenti populisti: da un lato l’intransigenza della Lega, dall’altro le aperture incondizionate della sinistra come nel caso delle dichiarazioni di Nichi Vendola. Dunque come spiegare l’immigrazione in Italia? Sono stati tanti gli argomenti sollevati da Francesco Daveri, docente dell’Università di Parma, che al Festival ha presentato il suo libro “Stranieri in casa nostra. Immigrati e italiani tra lavoro e legalità” (edizioni Egea). Introdotto da Tonia Mastrobuoni e appoggiato da Giovanni Peri, ordinario dell’Università di California, Daveri si è tolto i panni dell’economista per indagare a fondo in un mondo tanto discusso quanto ancora sconosciuto.
La genesi del libro parte da un’indagine svolta pochi anni fa, secondo la quale il 60% degli italiani ritiene che in Italia siano presenti troppi stranieri. Indagini successive hanno poi dimostrato come fra gli italiani con minor livello di istruzione la percentuale saliva fino all’80%. Ma quanti sono realmente gli immigrati in Italia?
Abbandonata la teoria per cui parallelamente all’importazione di beni dai paesi in via di sviluppo aumentava in proporzione anche l’importazione di forza lavoro, Daveri ha elencato alcuni dati reali: negli ultimi 40 anni la percentuale mondiale di migranti è rimasta sostanzialmente invariata, mentre si è acuita nei paesi del Nord del mondo, concentrandosi in particolar modo in Europa. In Italia, Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna la percentuale di cittadini stranieri si aggira intorno all’8%. Dunque perchè in Italia è diffusa la convinzione che la percentuale raggiunga il 25%? Secondo Daveri la causa sta nella rapidità del fenomeno migratorio: Germania e Francia hanno ricevuto lo stesso numero di immigrati nell’arco di decenni, mentre in Italia lo stesso fenomeno è avvenuto in pochi anni. Ciò ha portato ad una maggiore diffidenza, dovuta all’impreparazione, radicando la convinzione che “in Italia gli stranieri sono più stranieri che in altri paesi”.
I motivi sono noti e dibattuti, ma Daveri li ha riuniti in un quadro organico e completo. Difficilmente si può dire che gli stranieri “rubino il lavoro agli italiani”, dal momento che non solo svolgono lavori che gli Italiani ormai si rifiutano di fare ma perché, al contrario, vasti settori delle PMI richiedono proprio manodopera straniera per contenere i costi del lavoro. Più probabile che la diffidenza nasca dall’aumento di bambini stranieri nelle scuole, nelle strutture sanitare e soprattutto nell’ambito estremamente sensibile dell’edilizia popolare. A ciò si aggiunge il discorso sulla criminalità, dovuta sia al minor livello di reddito e di scolarizzazione degli immigrati, sia al fatto che la “diffusa cultura dell’illegalità e dell’informalità” in Italia ha aumentato le possibilità di delinquenza.
Dunque come migliorare le relazioni fra italiani e stranieri? Daveri risponde con un gioco di parole: “rendere gli stranieri ‘meno stranieri’ sarebbe il modo migliore per diminuire il numero di stranieri”, ad esempio facilitando i percorsi di integrazione (come nel caso della cittadinanza, rilasciata non per meriti ma per durata della permanenza). “Gli immigrati non arrivano da Lampedusa, ma da Malpensa. Entrano in Italia con il visto turistico e poi restano qui”: stabilire un sistema di controllo dei visti, individuando un referente già residente in Italia, potrebbe limitare di molto la clandestinità.
Daveri ha poi citato il caso di Harlem delle politiche di reinsediamento contestuale di italiani e stranieri, per sviluppare così un modello misto. Oppure, ha concluso, si potrebbe imparare da alcuni esempi virtuosi già sperimentati in America: “i leader islamici che danno il buon esempio sono i migliori alleati delle politiche sociali di Obama”, mentre l’arruolamento degli stranieri nelle forze dell’ordine, come avvenuto per gli ispanici in California, crea e propone un modello positivo di cittadinanza nelle comunità immigrate.
La chiusura dell’incontro è stata affidata a Giovanni Peri, che dopo una breve opinione sul libro di Daveri ha citato l’esempio degli Italiani in America. Disprezzati per decenni per l’incapacità di integrarsi nel tessuto sociale statunitense, a tutt’oggi gli Italiani sono considerati dall’americano medio come nel peggiore degli stereotipi, convinzione alimentata dai film hollywoodiani e dai reality show che hanno per protagonisti i giovani italoamericani. Eppure, nonostante questa convinzione, gli Stati Uniti hanno avuto registi, scrittori, sindaci e giudici della corte suprema di origine italiana. Lo stesso augurio, ha concluso Peri, va agli immigrati che oggi vivono nel nostro paese.