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Speciale “Giornata del Migrante”

18/12/2013

Viaggio fra i temi cruciali del fenomeno migratorio in Italia e nel mondo

Si celebra oggi (18 dicembre 2013) in tutto il mondo la Giornata internazionale del Migrante. La Giornata è stata istituita dalle Nazioni Unite nell’anniversario della data dell’adozione della Convenzione per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. La convenzione è stata adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1990 ed è in vigore dal 2003. In occasione della Giornata internazionale del Migrante, vi proponiamo un “viaggio” fra le principali tematiche e “sfide” che caratterizzano oggi il fenomeno migratorio con il supporto dei dati forniti da autorevoli soggetti impegnati a vario titolo in questo campo: dai minori migranti ai rifugiati, dalle seconde generazioni alle cosiddette “badanti”.

I numeri dell'immigrazione
Nel mondo il numero totale dei migranti internazionali è aumentato da circa 175 milioni nel 2000 a 232 milioni di persone al giorno d’oggi.
In Italia i cittadini stranieri al 1° gennaio 2013 sono 4.387.721, 334 mila in più rispetto all'anno precedente (+8,2%). La quota di cittadini stranieri sul totale dei residenti (italiani e stranieri) aumenta passando dal 6,8% del 1° gennaio 2012 al 7,4% del 1° gennaio 2013. Il numero degli stranieri residenti nel corso del 2012 cresce soprattutto per effetto dell'immigrazione dall'estero (321 mila individui) ma, in parte, anche delle nascite di bambini stranieri (80 mila). I nati stranieri nel 2012 costituiscono il 15% del totale dei nati da residenti in Italia. Rispetto all'anno precedente, l'incremento delle nascite di bimbi stranieri è dell'1%, inferiore a quello riscontrato per il 2011 rispetto al 2010 (+1,3%). La distribuzione degli stranieri residenti sul territorio italiano si conferma non uniforme. L'86 % degli stranieri risiede nel Nord e nel Centro del Paese, il restante 14% nel Mezzogiorno. Gli incrementi maggiori nel corso del 2012 si manifestano tuttavia nel Sud (+12%) e nelle Isole (+10,9%).

Italia, un migrante su 5 è bambino o adolescente
Sono 40.244 i migranti arrivati in Italia via mare tra il 1 gennaio e il 30 novembre 2013, di cui 5.273 sono donne e 7.928 minori, 1 su 5. I dati emergono dal dossier “Minori Migranti in Arrivo Via Mare – 2013”, pubblicato da Save the Children.
Se Lampedusa è stato il punto di approdo per il maggior numero di migranti (14.088) – afferma lo studio – è la provincia di Siracusa l’area che ha accolto il maggior numero di bambini e adolescenti (3.599). Dieci volte superiore allo stesso periodo dello scorso anno il numero di bambini accompagnati, anche piccolissimi, arrivati via mare in Italia con almeno un genitore, 2.974 nel 2013 rispetto ai 282 del 2012. Sono in gran parte siriani (2.331), in fuga dopo aver perso la casa e il lavoro, spesso anche la vita di familiari e amici, a causa di un conflitto che dura da quasi 3 anni e nel 2013 ha generato 2.500 bambini profughi al giorno.
E’ cresciuto di molto nel 2013 anche il numero dei minori stranieri non accompagnati sbarcati sulle coste del sud, da 1.841 a 4.954. Hanno tra i 13 e 17 anni, sono in maggioranza maschi e originari di Egitto (1.099), Somalia (816) ed Eritrea (611), ma anche tra loro il gruppo più numeroso è quello degli adolescenti siriani, che hanno affrontato la fuga o il viaggio da soli (1.192). Per la maggior parte – prosegue Save the Children – il vero obiettivo è raggiungere altri paesi europei, come Svezia, Norvegia, Germania e Svizzera. Al 30 novembre 2013, su 8.665 minori non accompagnati collocati in comunità 2.118 si sono resi irreperibili, con un punta del 50% per afghani ed eritrei.

Aumentano i rifugiati nel mondo
Nel 2012 il numero di rifugiati e sfollati interni ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 18 anni. Mentre alla fine del 2011 le persone coinvolte in tali situazioni nel mondo erano 42,5 milioni, un anno dopo erano ben 45,1 milioni. Di queste 15,4 milioni erano i rifugiati, 937mila i richiedenti asilo e 28,8 milioni gli sfollati, persone cioè costrette ad abbandonare le proprie abitazioni ma che sono rimaste all'interno del proprio Paese. I minori – bambini e adolescenti con meno di 18 anni – costituiscono il 46% di tutti i rifugiati.
È quanto emerge dall'ultimo rapporto annuale Global Trends sulle tendenze a livello globale in materia di spostamenti forzati di popolazione, pubblicato dall'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).
Le guerre restano la principale causa alla base della fuga. Il 55% di tutti i rifugiati presi in esame dal rapporto proviene infatti da appena 5 Paesi colpiti da conflitti: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan. L'81% dei rifugiati di tutto il mondo è ospitato dai Paesi in via di sviluppo.
In Italia nel 2012 sono state presentate 17.352 domande d’asilo, circa la metà dell’anno precedente. Alla fine dello scorso anno il numero dei rifugiati in Italia era di 64.779. Si tratta di una cifra che colloca l’Italia al sesto posto tra i Paesi europei, dopo Germania (589,737), Francia (217,865), Regno Unito (149,765), Svezia (92,872), e Olanda (74,598).

Il fenomeno “badanti”
Sono almeno 52 milioni, maggiormente donne, le persone impiegate nel lavoro domestico in tutto il mondo. E’ quanto afferma uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).
Il lavoro domestico rappresenta il 7,5% dell’occupazione femminile dipendente in tutto il pianeta, con una percentuale molto più alta in alcune regioni come l’Asia e il Pacifico, l’America Latina e i Caraibi. Tra la metà degli anni '90 e il 2010, i lavoratori domestici sono aumentati di oltre 19 milioni nel mondo; di questi, molti sono migranti. I dati non tengono conto del lavoro domestico dei minori al di sotto dei 15 anni, che secondo le stime dell’Ilo nel 2008 erano intorno ai 7,4 milioni.
Secondo lo studio, nonostante le dimensioni del settore, sono numerosi nel mondo i lavoratori domestici che non godono di buone condizioni lavorative né di una protezione giuridica sufficiente. Solo il 10% dei lavoratori domestici è coperto dalla legislazione generale del lavoro alla pari degli altri lavoratori, mentre oltre un quarto di loro è del tutto escluso dalla legislazione nazionale del lavoro. Oltre la metà dei lavoratori domestici non ha alcun limite alla durata dell’orario di lavoro settimanale secondo la legislazione nazionale, e circa il 45% non ha diritto a periodi di riposo settimanale. Poco più della metà dei lavoratori domestici ha diritto a uno stipendio minimo equivalente a quello degli altri lavoratori.
La mancanza di protezione giuridica aumenta la vulnerabilità dei lavoratori domestici, che spesso sono sottopagati rispetto a lavoratori con un’occupazione e orari di lavoro simili. Lo status giuridico precario dei lavoratori domestici migranti e la scarsa conoscenza della lingua e della legislazione li rendono particolarmente vulnerabili ad abusi quali la violenza fisica e sessuale, gli abusi psicologici, il non pagamento dello stipendio, la servitù per debito e condizioni di vita e di lavoro inadeguate.
L’Italia – afferma Assindatcolf – è tra i tre più grandi mercati di lavoro domestico in Europa, ed è costituito da lavoratori immigrati in prevalenza, (il 77,3% del totale) rispetto a quelli italiani (22,7%); donne, l’82,4% del totale, rispetto agli uomini (17,6%); per il 92,8% dei lavoratori il lavoro domestico è l’attività principale. Un mercato che crescerà ancora di più nei prossimi anni: se nel 2001 erano 1.083.000 i lavoratori domestici, già nel 2013 l’offerta ne conta 1.655.000, pari a +53%, con una domanda familiare che, però, ne richiede 2.600.000. E, per il 2030, l’offerta raggiungerebbe quota 2.151,000, con un +98% totale (Dati Censis).

La sfida delle “seconde generazioni”
Identità, ascolto, dialogo, empatia. Sono alcune fra le parole chiave emerse dal convegno “Come equilibristi. Sfide e opportunità dei giovani di origine straniera in crescita fra le culture” che si è svolto venerdì 27 e sabato 28 settembre nell’Aula Magna del Seminario Maggiore Arcivescovile di Trento. L'evento è stato promosso dal Cinformi in collaborazione con l’Associazione Jonas Onlus, l’Associazione Psicologi per i Popoli in Trentino, l’Associazione Transizioni, L.E.D. – Laboratorio di Educazione al Dialogo di Villa Sant’Ignazio, lo Spazio di Ascolto DaogniDove e l’Ordine degli Psicologi di Trento.
Al centro dei lavori i percorsi di inserimento sociale e il vissuto psicologico dei giovani di origine immigrata. Un tema affrontato con un approccio multidisciplinare che ha spaziato dal complesso quadro giuridico per l'ottenimento della cittadinanza formale – esposto da Anna Cattaruzzi, esperta di tutela del minore straniero e di ricongiungimenti familiari del Foro di Udine – sino al riconoscimento della cittadinanza sostanziale; dall'integrazione scolastica ai percorsi di vita dei giovani migranti nella nuova comunità di cui fanno parte, con gli annessi – e a volte drammatici – risvolti psicologici che caratterizzano le loro esperienze di vita.
Ne è uscito un ritratto dei ragazzi “nuovi italiani” presenti nel Paese che contraddice molti luoghi comuni, come quello – ad esempio – del ritardo scolastico, dovuto molto spesso ad un inserimento in classi non adeguate alla loro età o ad una collocazione in classi “problematiche”. L'integrazione scolastica – ha detto la professoressa Elena Besozzi della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Cattolica di Milano – passa attraverso la dimensione relazionale e la dimensione cognitiva; la scuola deve coniugare somiglianza e differenze, equità e merito.
Esiste – ha affermato invece il professor Maurizio Ambrosini dell'Università degli Studi di Milano – un problema di 'ansia di assimilazione'. La presenza dei migranti mette in discussione la nostra idea di nazione e c'è una forbice fra le aspettative dei giovani migranti e le reali opportunità riconosciute nel Paese dai cosiddetti autoctoni.
Come porci quindi di fronte alle diversità culturali dei giovani di origine immigrata e scongiurare il pericolo di una loro possibile “doppia assenza” rendendoli invece “ponti fra culture”? Innanzitutto – come ha suggerito Wanda Ielasi, vicepresidente dell’Associazione Psicologi per i Popoli del Mondo – riconoscendo che le nostre griglie di lettura non sono le uniche possibili. Spesso diamo un significato alla realtà prima ancora di percepirla e così facciamo anche di fronte alle diversità culturali. Dobbiamo valorizzare il dialogo, il confronto con questi ragazzi, approfondire i vissuti reciproci di migranti e di autoctoni ed entrare in empatia – come suggerito anche da Maria Laura Bergamaschi, psicologa Jonas Onlus – con i ragazzi giunti in Italia da altri Paesi. Giovani talvolta in fuga da situazioni disperate e arrivati in Italia in condizioni di emergenza, con un tragico vissuto alle spalle da sviscerare e superare, come raccontato da Raffaella Kaisermann, educatrice professionale dell’Azienda sanitaria a Trento e da Luigi Ranzato, presidente dell'Associazione Psicologi per i Popoli (Trentino). Di qui l'importanza sottolineata dallo stesso Ranzato e da Ernesto Rosati, primario dell'Unità Operativa di Psicologia 1 – Distretto Centro Nord dell'APSS, di fornire una risposta organica e strutturata a questo disagio psicologico.
Sabato mattina, nell'ultima sessione di lavori, l'attenzione è stata particolarmente rivolta alla promozione del benessere dei giovani immigrati, partendo da una sua definizione per poi individuare attori, strumenti e metodologie di lavoro. Un concetto, quello appunto di benessere, intrecciato con le definizioni di stile di vita e di salute, intesa oggi come “stare bene” non solo sul piano fisico, ma anche psicologico, relazionale...
Per raggiungere il benessere dei ragazzi di origine immigrata – è stato detto – bisogna intervenire nei “macro settori” della vita, come ad esempio scuola, lavoro e famiglia. Gli attori-fautori di questo benessere sono – fra gli altri – i servizi sociali, sanitari e le istituzioni, che devono lavorare in rete con un approccio “reticolare” sotto un unico coordinamento, spesso demandato all'ente pubblico o al privato sociale. Fra i necessari strumenti, l'attività di ricerca per analizzare il bisogno dei giovani di origine straniera, la pianificazione integrata delle attività progettuali e l'attuazione di diverse tipologie di interventi nei citati “macro settori”. In questo quadro, la mediazione interculturale ricopre un ruolo di primo piano per la promozione del benessere dei giovani immigrati. Mediazione che può essere ad opera di professionisti ma anche, in taluni casi, degli stessi ragazzi, che possono così vivere da protagonisti la valorizzazione della loro diversità culturale come ricchezza, come “ponte fra culture”.
Superamento delle barriere, apertura e fiducia sono invece i concetti chiave emersi dai gruppi di lavoro. Sta in queste parole l'importanza e la “ricetta” del primo approccio alla diversità, perché in ogni luogo per i giovani di origine straniera – ma per la generalità dei migranti – la prima conquista, prima ancora di veder riconosciuta la propria ricchezza culturale, è essere riconosciuti come persone.

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Pubblicato il: Mercoledì, 18 Dicembre 2013 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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