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Solidarietà internazionale e migrazioni

14/05/2011

L'assessore provinciale Beltrami ha dato il benvenuto ai profughi somali arrivati in Trentino

Jean Leonard Touadi, deputato al parlamento italiano e giornalista di origini congolesi; Khaled Fouad Allam sociologo, islamista e opinionista di origini algerine; padre Kizito Sesana, missionario comboniano ed ex-direttore del mensile "Nigrizia; Emma d'Aquino, giornalista Rai che ha seguito fra l'altro le vicende degli sbarchi a Lampedusa: quattro ospiti d'eccezione ieri sera (venerdì 13 maggio) alla sala della Cooperazione di Trento per la serata pubblica organizzata dalla Provincia nell'ambito del Forum sulla solidarietà internazionale trentina. In apertura l'assessore Lia Giovanazzi Beltrami che ha anche salutato i profughi somali presenti in sala, arrivati in Trentino la scorsa settimana.
Quello di ieri sera è stato un confronto a tutto campo sul tema delle migrazioni, inserito in un più ampio ragionamento sul mondo globalizzato e sul ruolo che in esso può svolgere la solidarietà internazionale. Dopo il confronto del pomeriggio a Sociologia sulla cooperazione decentrata, a cui ha preso parte il presidente Lorenzo Dellai, l'attenzione si è dunque spostata su uno dei temi più caldi del dibattito politico contemporaneo. I lavori si sono aperti con i saluti dell’assessore Lia Giovanazzi Beltrami, che ha ricordato di avere conosciuto Emma d’Aquino in Abruzzo, ad Onna, subito dopo il terremoto,”in una notte di luna piena, quando il Trentino, toccando con mano la disperazione degli abitanti del piccolo borgo, che non avevano più nulla, decise di impegnarsi al loro fianco per la ricostruzione. E quattro mesi dopo inauguravamo le prime case.
"Siamo arrivati a questa serata – ha proseguito l’assessore - dopo una serie di attacchi giunti negli ultimi tempi alla solidarietà trentina; abbiamo deciso di rispondere non con proclami sulla stampa ma con un confronto a tutto campo sulla direzione che stanno prendendo le nostre attività e più in generale tutto il mondo della solidarietà internazionale. Una critica era rivolta ad esempio ad un progetto che sosteniamo in Cina, con la motivazione che la Cina non ha bisogno di cooperazione allo sviluppo: proprio in questi giorni sulla rivista di Emergency leggiamo un lungo reportage sulle difficoltà che incontrano milioni di cinesi protagonisti di migrazioni interne. E che cosa dire del Brasile? Ha alti tassi di sviluppo, è vero; se dovessimo utilizzare solo questo criterio per decidere quali progetti sostenere, molte associazioni trentine non sarebbero qui. Ma sappiamo che la crescita economica può generare contraddizioni grandissime, povertà spaventose. Per questo non ci limitiamo ai dati sulla crescita del pil nel valutare la bontà di un'iniziativa, ma andiamo a vedere i bisogni reali a cui essa risponde. E le capre della Siria? Siamo stati derisi per quel progetto, di sostegno alle popolazioni che vivono in una fascia predesertica del paese. E invece quel progetto va avanti, 120 famiglie adesso possono continuare a vivere a casa loro senza essere costretti a lasciare la loro terra, e altre le stanno imitando. Anche questo è un modo per rispondere alle domande sollevate dalle migrazioni internazionali, che sono sempre e comunque una scelta dolorosa per chi ne è protagonista. Continuiamo quindi, come questa sera, a costruire ponti di dialogo, con eventi come 'Sulle rotte del mondo' o 'Officina Medio Oriente', con le sinergie che abbiamo costruito sul versante sanitario con il nostro Piano convivenza, che contiene 21 azioni concrete, basate su un principio forte, la valorizzazione delle differenze."
Quindi l’assessore ha salutato il gruppo di 25 somali – presenti in sala - arrivati la scorsa settimana in Trentino dopo essere sbarcati a Lampedusa. “Li abbiamo invitati ad essere con noi stasera perché siamo convinti che potranno essere lievito del Trentino”, ha chiosato Lia Beltrami prima di passare la parola ad Emma d'Aquino, che ha aperto la serata chiedendo ai tre ospiti sul palco il perché di queste migrazioni. “C’è forse qualcosa che anche noi, come occidentali, non siamo riusciti a fare?”
Il primo a rispondere è stato Touadi. “Quando è caduto il Muro di Berlino tutti abbiamo detto: è finita la contrapposizione Est-Ovest, finalmente l’umanità potrà affrontare la madre di tutte le guerre, quella alla povertà. Lo aveva già chiesto molto tempo prima Paolo VI. Invece non è andata così. Lampedusa è diventata il simbolo delle nostre contraddizioni: questo è un paese dove si parla della difesa della vita dalla mattina alla sera, ma quando la vita arriva, non in forma di un embrione o di un malato terminale, ma di un essere umano in carne ed ossa, su un barcone, non la riconosciamo. I paesi del Nord Africa erano i nostri paradisi turistici, eppure nessuno aveva visto quello che stava per succedere. Oggi affoghiamo nelle nostre contraddizioni. Dobbiamo reagire, dobbiamo avere una prospettiva di intervento, se no la collera dei poveri ci seppellirà.”
Khaled Fouad Allam ha spiegato che la domanda di libertà e giustizia è oggi una domanda mondiale, che attraversa ogni confine. “Oggi ragazzi come questi presenti in sala chiedono di essere capiti, di essere riconosciuti. Anche Obama quando è andato in Africa due anni fa ha parlato di riconoscimento. L’icona del XXI secolo sarà quella della globalizzazione, piaccia o non piaccia, e questa domanda di riconoscimento è parte della globalizzazione. Io sono un po’ pessimista: ci vorrebbero strumenti di governo nuovi, e questi strumenti non ci sono. Oggi la parola fratellanza è scomparsa dalla narrazione politica. Anche gli intellettuali europei non danno più un contributo efficace. In questo clima crescono i gruppi di estrema destra, o coabitazioni ‘strane’ a livello politico fra estrema destra e partiti di governo. Il clima è quello degli anni ’30. Ci sono esperienze positive a livello locale, come quella di Trento, ma a livello globale non si vedono emergere i nuovi approcci per affrontare i problemi e dare loro risposta.”
“Noi lavoriamo per far crescere le persone in Africa, ogni giorno – ha detto invece padre Kizito, da anni nelle baraccopoli di Nairobi, Kenya, dopo una lunga esperienza anche in sud Sudan – ma è una battaglia difficile, quotidiana. E’ difficile per una persona che vive in Italia comprendere ad esempio la costante paura della violenza fisica, che vige in certi quartieri di Nairobi. La presenza costante della violenza fisica che ti impedisce persino di ragionare. A Nairobi oggi la violenza si accanisce anche contro i bambini, i ragazzi. Si può essere uccisi per avere rubato un pollo, nell’indifferenza della polizia. E’ successo recentemente. La gente fugge da queste situazioni. Cerca la pace. Li chiamiamo migranti economici. In realtà c’è di più che la ricerca del benessere. C’è il desiderio di andare in un luogo dove poter vivere con dignità.”
Touadi ha ripreso questi stimoli parlando della disillusione dell’Africa post-coloniale: il neocolonialismo, le ricette neoliberiste del Fondo monetario e della Banca mondiale, le carenze e le responsabilità della classe politica locale, una élites che ha utilizzato lo stato come strada di accesso alla ricchezza. "L’Occidente a sua volta ha fatto prevalere il proprio interesse, anche se nei proclami ufficiali le parole libertà, diritti umani, giustizia, erano le più usate. Come diceva De Gaulle, ‘l’Europa non ha amici, ha solo interessi’. La vita degli africani è rimasta confinata negli interstizi dell’economia informale. Gli africani sono rimasti soli, soli di fronte ai grandi organismi economico-finanziari internazionali e soli di fronte alle proprie classi politiche. Oggi, certo, ci sono paesi in Africa che crescono economicamente. Ma crescono senza che vi sia diminuzione della povertà. Cosa vogliamo fare di quel miliardo di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno, nell’indifferenza totale degli economisti? L’Europa dovrebbe chiederselo, e non lo fa. E siccome la natura ha orrore del vuoto, questo vuoto oggi viene riempito dalla Cina e da altri paesi asiatici.”
Touadi ha anche spezzano una lancia in favore dei lampedusani. “I lampedusani non sono razzisti. Qualcuno ha voluto giocare sulla paura. Anche l’Europa se ne è lavata le mani. Leader politici stranieri hanno detto a quelli italiani: fate quello che volete, basta che non passino il Po'. L’Italia ha saputo accogliere gli albanesi, ha saputo accogliere i profughi dai Balcani, utilizzando le straordinarie risorse degli enti locali, del volontariato. Questa volta si è scelto di parlare solo alla pancia. Pagheremo questa scelta: perché produce un mutamento antropologico nella gente. Io sono arrivato in Italia negli anni ’80, pieno di speranze. Ho fatto politica, ho fatto il giornalista. Oggi però avverto una certa stanchezza. Abbiamo bisogno di affiancare alle altre ‘i’, istruzione, informatica e quant’altro, la ‘i’ di intercultura. Per rianimare un corpo che altrimenti va in decomposizione.”
Per Khaled Fouad Allam oggi non ci sono più i giganti che hanno costruito l’Europa, oggi viviamo nell’epoca della mediocrità. “50.000 migranti nel contesto mondiali non sono nulla, ma l’Europa non riesce a gestirli. Abbiamo bisogno di uomini nuovi, abbiamo bisogno di intellettuali che si esprimano chiaramente su ciò che sta succedendo. C’è un vuoto di pensiero, e la politica senza pensiero non va avanti. Secondo sondaggi condotti in Germania e Francia, metà degli intervistati pensano che i musulmani non possano integrarsi con i sistemi democratici. Abbiamo bisogno di aprirci all’altro, e non è una questione di snobismo intellettuale, è una questione di vita o di morte. E dobbiamo ripensare la geografia politica. La Francia e la Germania si sono combattute per due guerre mondiali, e oggi sono assieme, nell’Europa. Dal dolore si può guarire. Ma non bastano i politici. Ci vogliono sorrisi, ci vuole partecipazione al dolore altrui.”
Kizito ha confermato a sua volta che uno dei problemi dell’Africa è quello di essere privo di una classe dirigente, o meglio, di avere una classe dirigente di predatori. Al tempo stesso, l’Occidente esercita una forte attrazione nei confronti dell’Africa. Esiste un condizionamento molto forte soprattutto sulle élites, che ‘copiano’ quelli che sono spesso degli stereotipi, scambiati per stile di vita occidentale. Ma nella gente con cui lavoro tutti i giorni c’è ancora tanta speranza, tanto desiderio di cambiare. Dobbiamo creare spazi di speranza. Dobbiamo riscoprire la solidarietà come modello di convivenza.”
La serata - che sarà trasmessa prossimamente su Trentino Tv digitale - si è chiusa come si era aperta, con le note dei giovanissimi musicisti del gruppo d'archi "Versus" di Brentonico.
Il Forum prosegue oggi (sabato 14 maggio) a Sociologia in aula Kessler con un confronto fra le tante associazioni trentine sulle prospettive della solidarietà internazionale. La chiusura alle 17 con l'assessore Beltrami.

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Pubblicato il: Sabato, 14 Maggio 2011 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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