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Sfruttamento lavorativo, "tolleranza zero"

04/06/2015

L’Agenzia propone, tra l’altro, che venga creato un sistema di certificazione delle imprese che rispettano i diritti dei lavoratori

L’Italia fa parte del ristretto gruppo di nove Stati membri che hanno trasposto nella propria legislazione nazionale l’Articolo 13 della direttiva comunitaria 2009/52/CE, volta a rafforzare la cooperazione tra Stati membri nella lotta contro l’immigrazione illegale. La normativa nazionale prevede, infatti, per le sole ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo, che lo straniero che presenta denuncia o coopera nel procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro, possa ottenere, su proposta o con il parere favorevole del giudice, il rilascio di un permesso di soggiorno umanitario della durata di sei mesi e rinnovabile per un anno o per il maggior periodo occorrente alla definizione del procedimento penale. Il permesso di soggiorno per motivi umanitari consente lo svolgimento di attività lavorativa. Tale quadro normativo ha permesso, nel 2013, di rilasciare 28 permessi di soggiorno ad altrettante vittime dello sfruttamento in cambio di una loro collaborazione con le autorità. In tutta Europa tale disposizione ha trovato applicazione in solo altri quattro casi in Germania e uno in Slovacchia.
E’ quanto emerge da uno studio recente dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali. Lo studio afferma che i settori più a rischio di sfruttamento lavorativo sono in Italia quello dell’agricoltura, della pesca e il settore manifatturiero. L’Italia inoltre è il paese che ha concesso il maggior numero di permessi di soggiorno alle vittime di sfruttamento e traffico: nel 2013 ne sono stati concessi 147 permessi di soggiorno per protezione sociale e altri 1.277 sono stati rilasciati per “motivi umanitari”.
La nuova relazione dell’Agenzia Europea per i Diritti è la prima nel suo genere a esplorare in modo globale tutte le forme criminali di sfruttamento dell'attività lavorativa nell'UE che interessano i lavoratori che si spostano all'interno dell'UE o che vi fanno ingresso. La ricerca è stata condotta in 21 paesi dell'UE attraverso 616 interviste ad esperti di categorie professionali coinvolte nell'ambito dello sfruttamento dell'attività lavorativa, compresi ispettorati del lavoro, forze di polizia, giudici, rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, esperti delle politiche nazionali e personale delle agenzie di collocamento. In generale, i risultati mostrano che lo sfruttamento criminale dell'attività lavorativa è esteso a numerosi settori, in particolare quello dell'agricoltura, dell'edilizia, alberghiero e della ristorazione, del lavoro domestico, nonché quello manifatturiero, e che i responsabili corrono un rischio minimo di essere perseguiti o di dover risarcire le vittime. Tale situazione non danneggia solo le vittime stesse, ma compromette più in generale anche le norme in materia di lavoro.
Per migliorare la situazione, l’Agenzia europea ha avanzato quindi una serie di proposte che vanno dal miglioramento dell’efficienza delle indagini da parte delle forze di polizia alla necessità di stabilire un clima di maggior fiducia fra i lavoratori e le autorità così da incoraggiare le vittime a denunciare. Secondo l’Agenzia, è fondamentale che gli Stati membri garantiscano un “sistema d’ispezioni sul posto di lavoro che sia globale, efficace e sostenuto da risorse adeguate”; che si facciano maggiori sforzi per informare le vittime sui loro diritti; e che le imprese private e pubbliche non stipulino contratti con ditte coinvolte in episodi di sfruttamento dei lavoratori. Una volta garantiti maggiori diritti alle vittime, il passo successivo è quello di dare in mano ai consumatori tutti gli strumenti necessari per distinguere chi porta avanti pratiche scorrette da chi invece non lo fa. Per questo, l’Agenzia propone che venga creato un sistema di certificazione delle imprese che rispettano i diritti dei lavoratori.

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Pubblicato il: Venerdì, 05 Giugno 2015 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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