18/11/2012
La pubblicazione è stata presentata in occasione dell'iniziativa "L'Europa è per i diritti umani"“Ritrovarsi per ricostruire”
“Un numero elevato di rifugiati deve affrontare la separazione forzata dai propri familiari. Il rifugiato ha spesso dovuto lasciarsi alle spalle non solo il suo paese, il suo lavoro o studio, la sua casa, i suoi amici, ma anche moglie o marito, figli, genitori, fratelli, sorelle, zii, nonni, l’insieme delle persone che costituiscono in tutte le culture la rete di affetti, di relazioni più strette, di sicurezza emotiva e spesso anche materiale”. I motivi della separazione forzata sono diversi secondo le circostanze della fuga dal proprio paese e le condizioni individuali. E’ quanto si legge nella pubblicazione realizzata dal Consiglio italiano per i rifugiati Cir, presentato in occasione della recente iniziativa "L'Europa è per i diritti umani" promossa dall'Ufficio informazione in Italia del Parlamento europeo nell’ambito di una conferenza dal titolo "Unità familiare: un diritto umano".
La pubblicazione sul ricongiungimento familiare raccoglie riferimenti normativi, commenti, testimonianze, approfondimenti sull’argomento a conclusione dell’esperienza maturata durante la gestione del progetto “Ritrovarsi per Ricostruire” finanziato con il fondo dell’8 per mille per l’anno 2009.
La pubblicazione - affermano i promotori - parla di tre scenari diversi di separazione dai propri familiari: primo, i familiari sono rimasti nel paese di origine a causa di motivi di sicurezza o dell’impossibilità economica a pagare il viaggio, o perché la fuga era stata concepita solo per un breve periodo. Secondo, la partenza dal paese di origine includeva anche familiari che successivamente sono stati costretti a rimanere in un paese intermedio, di transito, di primo rifugio. Il terzo scenario, meno frequente, riguarda i rifugiati “sur place”, persone che non possono più tornare nel proprio paese a causa di avvenimenti accaduti durante la loro assenza: un golpe, la presa di potere di un regime dittatoriale, una guerra o guerra civile. Quella che era pensata come una permanenza limitata all’estero, per motivi di studio o di lavoro, si converte in una vera separazione a tempo indeterminato.
In tutti i casi - proseguono i promotori della pubblicazione - la lontananza non voluta dai propri familiari condiziona profondamente la vita in esilio. Rafforza la tendenza, comunque inerente alla condizione di rifugiato, a guardare indietro con un senso di perdita e spesso anche con un senso di colpa. Rende ancor più difficile intraprendere una nuova vita nel paese di asilo, pianificare il futuro, investire energie nella ricerca di lavoro e di casa, orientarsi in una cultura diversa. E’ per questo che il ricongiungimento familiare rappresenta una condizione fondamentale per l’integrazione del rifugiato. D’altra parte però è necessario un certo grado di integrazione per poter effettivamente procedere al ricongiungimento. Le proposte e le raccomandazioni in questo volume - concludono i promotori - sono piuttosto modeste di fronte a una sfida umana e umanitaria così esistenziale. Si basano sulla normativa europea e nazionale vigente e intendono essere “realiste” e attuabili nel breve-medio periodo.