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Regolarizzazione, “bilancio positivo”

17/10/2012

Dal Trentino poche domande: “E' la controprova di un mercato del lavoro sostanzialmente conforme alla legalità”

Che bilancio possiamo trarre della cosiddetta “regolarizzazione” a pochi giorni dalla chiusura dei termini per l'invio delle domande? Che lettura possiamo fare dei dati guardando al contesto nazionale ma analizzando anche il caso trentino?
Lo abbiamo chiesto al professor Maurizio Ambrosini dell'Università di Milano.

Professor Ambrosini, si è da poco conclusa la fase di invio delle domande della cosiddetta “regolarizzazione”. Rispetto alle ipotesi fatte anche da autorevoli esperti, il numero delle domande presentate è nettamente al di sotto delle aspettative. Alcuni hanno ritenuto eccessivi i costi per regolarizzare il lavoratore; secondo altri la causa va ricercata nella difficoltà a dimostrare la presenza del lavoratore sul territorio nazionale alla data indicata dal ministero. Lo stesso ministero dell'Interno afferma invece che semplicemente erano pochi i casi da regolarizzare. Lei che idea si è fatto?

Certamente le due cose che lei ha evocato hanno inciso sul risultato. Io penso però che ci siano anche dei fattori legati alla crisi economica, che significa ritrosia da parte dei datori di lavoro italiani a investire per consolidare – perchè di questo si tratta – il rapporto di lavoro con i loro dipendenti immigrati e probabilmente anche incertezza da parte degli immigrati sulla continuità, sulle prospettive dei rapporti di lavoro: paura di essere licenziati se al costo del salario si sommassero poi anche nel futuro i contributi, oltre al costo iniziale di accesso alla regolarizzazione. Quindi io tendo a credere che anche la prospettiva della crisi abbia inciso su questo risultato inferiore alle attese.

Professore, focalizzando l'attenzione sul caso della provincia di Trento si nota un numero esiguo di domande se comparato alle province confinanti in proporzione ai regolarmente soggiornanti. Che indicazioni possiamo trarre da questa analisi dei dati?

Io penso che il caso trentino sia la controprova di un mercato del lavoro sostanzialmente conforme alla legalità e che ci siano state poche domande perchè ci sono relativamente pochi casi di lavoro irregolare in Trentino in confronto con altri territori anche settentrionali di analoghe dimensioni e di analoga densità di presenza di lavoratori immigrati. Quindi è una conferma di quello che abbiamo visto in questi anni attraverso le analisi del Rapporto sull'immigrazione in Trentino.

Restando in Trentino e guardando da vicino i dati relativi alle domande, si nota che – come era peraltro prevedibile – la maggior parte dei casi ha riguardato richieste di regolarizzazione nell'ambito del lavoro domestico. Le domande in questo settore sono state 383, mentre per gli altri settori lavorativi vi sono state solamente 43 domande. Focalizzando l'attenzione sul lavoro domestico, 302 domande sono per colf e tra queste ultime 207 riguardano la regolarizzazione di maschi. Che deduzione possiamo fare?

Io ritengo che effettivamente il lavoro domestico assistenziale sia il “ventre molle” delle politiche migratorie. La casa e la famiglia sono gli ambiti in cui da una parte c'è il bisogno crescente di immigrazione, di lavoro aggiuntivo e dall'altra c'è una obiettiva difficoltà di controllo, anche volendo. Alla fine c'è una sorta di tolleranza nei confronti delle famiglie che per risolvere i loro problemi di conciliazione tra lavoro e necessità di cura, di accudimento di anziani e bambini ricorrono al lavoro di persone immigrate, anche in condizione irregolare. Quindi non mi meraviglia più di tanto il dato; probabilmente c'è anche sempre un certo numero di regolarizzazioni di comodo di cui bisogna tenere conto, perchè anche i costi contributivi sono inferiori e quindi può anche darsi – è il caso per esempio di uomini regolarizzati come colf – che si utilizzi il canale domestico anche per regolarizzare lavoratori che in realtà sono occupati altrove.

Professore, tiriamo un po' le somme di questa regolarizzazione, inizialmente accompagnata – come spesso succede – da pareri favorevoli e pareri contrari. Alla luce dei dati definitivi delle domande presentate, che bilancio possiamo trarre? E' stato centrato l'obiettivo di consentire quello che il ministro all'Integrazione Riccardi ha chiamato un “ravvedimento operoso”?

Qui è un po' il discorso del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Certamente siamo rimasti al di sotto delle aspettative. Le stime sulla presenza di immigrati – in gran parte lavoratori immigrati – in condizione irregolare erano intorno al mezzo milione. Il risultato è qualcosa più di centomila. Quindi meno del previsto, però si tratta pur sempre di una delle più importanti operazioni di regolarizzazione compiute in questi ultimi anni in Europa, direi anzi la più importante. Considerando il tempo di crisi, considerando un clima politico complessivamente sfavorevole a manovre di regolarizzazione di immigrati in condizione irregolare, mi sembra un risultato politico e sociale da valorizzare e da tenersi stretto. Quindi io penso che il bilancio sia tutto sommato positivo e sia anche un punto di svolta rispetto all'adozione di politiche più incisive di contrasto del fenomeno, in particolare di contrasto allo sfruttamento di immigrati irregolari. Non dimentichiamo che la norma attraverso la quale è stata introdotta anche la sanatoria prevede sanzioni accresciute per i datori di lavoro e prevede permessi di soggiorno per gli immigrati occupati e sfruttati in modo irregolare che denuncino i loro datori di lavoro. Quindi questa normativa che recepisce una norma europea potrebbe rappresentare un punto di svolta per un più incisivo contrasto del fenomeno.

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Pubblicato il: Mercoledì, 17 Ottobre 2012 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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