23/03/2017
I migranti volontari costruiscono assieme agli anziani non solo manufatti ma anche rapporti di amiciziaProfughi volontari in casa di riposo a Povo di Trento
L'azienda pubblica di servizi alla persona (Apsp) Margherita Grazioli di Povo (Trento) ha aperto dal mese di novembre 2016 le porte ad alcuni volontari richiedenti asilo che vivono in Trentino. Tre di loro frequentano attualmente il corso di volontariato organizzato presso la casa di riposo, quattro svolgono attività di animazione con gli anziani e altri due li assistono ogni mercoledì pomeriggio per qualche ora in lavori di creazione di piccoli manufatti.
A spiegarci la ragione per la quale i giovani richiedenti protezione internazionale sono stati accolti come volontari in casa di riposo a Povo è il presidente Renzo Dori. “Noi siamo un’azienda che offre servizi alle persone in difficoltà, quindi abbiamo una particolare attenzione verso tutte le situazioni di disagio. E una situazione di disagio è anche quella di questi giovani che vengono da paesi lontani con delle storie molto drammatiche. Quindi noi ci siamo detti: 'perché non trovare delle modalità per aiutarli ad inserirsi nella nostra comunità?' E così è partito il progetto”. “La fase iniziale – precisa il presidente – è stata un po’ difficile a causa di qualche diffidenza da parte di alcuni nostri ospiti anziani, ma in una seconda fase è emerso che questo incontro è efficace sia per l’anziano, sia per i giovani profughi; entrambi hanno la possibilità di socializzare e di conoscere storie e culture diverse”.
Un’opinione positiva rispetto all’esperienza di volontariato dei giovani richiedenti asilo presso l’Apsp “Grazioli” viene espressa anche dal responsabile dell’animazione e referente del progetto inserimento profughi, Roberto Maestri. “Il rapporto tra gli anziani e i ragazzi è stato fin dal principio positivo, anche se ci sono state alcune difficoltà che hanno riguardato la lingua, in quanto gli anziani parlano prevalentemente il dialetto. Col tempo però ospiti e migranti hanno imparato a conoscersi e attraverso le attività manuali si sono create occasioni di incontro dalle quali sono nati anche rapporti di amicizia”.
Emanuele Piva è uno degli operatori della cooperativa Kaleidoscopio che lavora presso la residenza Fersina di Trento. Secondo Emanuele, l’inserimento dei ragazzi richiedenti asilo è avvenuto in modo graduale ed è stato positivo. Infatti, una delle caratteristiche dei giovani accolti è la volontà di fare. “Potersi sperimentare nel campo del volontariato – spiega Emanuele – è molto importante per i profughi. Gli obiettivi di queste attività sono molteplici e tra i più importanti vi sono l’acquisizione di pre-requisiti lavorativi come quelli linguistici in primis, ma anche capire il funzionamento del mondo lavorativo in Italia, la puntualità, come relazionarsi con le persone. In più, il semplice fatto di uscire dalla residenza ed entrare in contatto con persone diverse, in questo caso con persone in età avanzata, offre un valore aggiunto all’accoglienza”. L’esperienza che sta maturando l’Apsp di Povo dovrebbe, secondo il presidente Renzo Dori, allargarsi anche alle altre case di riposo del Trentino. Secondo il presidente, la loro mission dovrebbe incontrare le tematiche del sociale e le diverse realtà del settore dovrebbero essere un terreno fertile per costruire altre occasioni di incontro e di socializzazione.
Frammenti di vita dei due giovani profughi volontari
Fode e Mohamed sono i due richiedenti asilo che aiutano alcune signore anziane a realizzare cesti in vimini. L’atmosfera che si respira è rilassante. Le anziane richiamano l’attenzione dei due giovani, li vogliono vicini a loro per aiutarle a fare i cestini ma anche per scambiare due chiacchiere. Il tempo trascorso insieme appare prezioso sia per i richiedenti asilo che per le persone accolte in casa di riposo. In quello spazio e nel tempo trascorso insieme profughi e anziani si raccontano reciprocamente passato, presente e futuro e nascono rapporti di amicizia. Tutti si sentono ascoltati e valorizzati.
Fode ha solo 19 anni, è orfano di padre e ha ancora la madre e un fratello rimasti in Senegal. Ha studiato per qualche anno, ma ha dovuto lavorare fin da piccolo come contadino, anche allevando mucche. Ne aveva cinque che ha venduto quando ha deciso di partire nell'agosto 2015 per procurarsi i soldi per pagare il viaggio verso l'Europa. Era un adolescente e non aveva paura di ciò che lo aspettava quanto di rimanere, dal momento che – ci racconta – in patria veniva picchiato continuamente dai fratelli del padre. È stata dura attraversare il deserto e arrivare in Libia a Tripoli, ma ha avuto un coraggio frutto anche della consapevolezza di non poter tornare. Un mese dopo, Fode è riuscito a imbarcarsi su un barcone e raggiungere l’Italia. È rimasto tre mesi ad Agrigento, poi è stato mandato a Trento, dove ha trovato sistemazione alla residenza Fersina e poi alla “Brennero”. Sarebbe contento di tornare a lavorare in agricoltura come nel paese d’origine, ma ama soprattutto lavorare a contatto con gli anziani.
Mohamed invece ha 21 anni ed è originario del Mali. Del suo passato racconta solo che all’età di 13 anni ha lasciato la propria famiglia e ha viaggiato in otto Paesi dell’Africa. Per un anno ha vissuto in Libia; da più di un anno vive in Italia. Mohamed non vuole rivangare il proprio passato (probabilmente molto difficile, ndr); il futuro vorrebbe viverlo da solo lavorando con onestà e impegno. Nel frattempo, i due richiedenti asilo sono in attesa della risposta dello Stato alla loro domanda di protezione internazionale.