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“La cronaca sulla nostra pelle”

31/03/2011

Dopo l'incontro al Palazzo della Regione, il forum è proseguito con Pino Rea al Semimario Maggiore

Come cambia l'impatto di una notizia a seconda di come la raccontiamo, dei termini che adoperiamo? Come cambia l'idea che gli italiani si stanno facendo degli sbarchi a Lampedusa se ne parliamo come di un "esodo biblico", di uno "Tsunami umano" o come di un flusso migratorio di portata assai inferiore rispetto a quello registratosi ad esempio nel 2008 (quando i migranti arrivati sulle coste dell'isola furono 31.000)? Ed è giusto, preciso, eticamente corretto classificare lo straniero che arriva in Italia su un gommone come "clandestino" prima ancora che sia stato valutato se ha diritto ad essere accolto o meno come un "rifugiato" sulla base delle norme di diritto internazionale? Se ne è parlato stamani nella sala Rosa della Regione durante il forum "La cronaca sulla nostra pelle", nell'ambito dell'evento organizzato da Provincia, Cinformi, Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa sul rapporto media-immigrazione. Al tavolo dei relatori Riccardo Staglianò ( La Repubblica), Dan Ion (rappresentate delle associazioni dei Migrantes in Trentino),
Luciano Scalettari (Famiglia Cristiana), don Vittorio Cristelli (già direttore di Vita trentina),
Viorica Nechifor (presidente Associazione nazionale stampa interculturale), Raffaele Crocco (Rai), Mauro Sarti (Agenzia di stampa Redattore sociale), moderati dal presidente dell'Ordine dei giornalisti del Trentino Alto Adige Fabrizio Franchi. L'evento è stato trasmesso in diretta dalla web tv della Provincia autonoma di Trento.
Ad aprire i lavori l'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza Lia Giovanazzi Beltrami, che ha sottolineato come proprio in questi giorni "la cronaca nazionale riprenda e dibatta i temi che si stanno discutendo qui a Trento in questo Forum, a partire dall'assenza di un linguaggio comune per descrivere i fatti. E se non c'è chiarezza nell'informazione le paure si amplificano senza motivo. In Trentino sembra che per ora verranno ospitati 25 profughi: normalmente noi ne riceviamo una trentina all'anno, quindi siamo perfettamente in grado di gestire la situazione. Nella peggiore delle ipotesi formulata dal Governo, l'arrivo in Italia nel prossimo periodo di 50.000 migranti, il Trentino ne ospiterà 450. Ci sono associazioni, gruppi, enti locali, che stanno offrendo la loro disponibilità a farsi carico di questo impegno. Dobbiamo dire con chiarezza queste cose e sforzarci, tutti, di non alimentare timori irrazionali."
Ma, ha detto a sua volta Franchi nell'introdurre i lavori, c'è chi fa proprio questo, "prospettando esodi biblici verso le nostre coste. E nessuno si chiede perché si lasciano delle persone confinate su un'isola senza assistenza per giorni, salvo poi a prospettare un evento 'salvifico' che risolva le cose."
Per Staglianò, "i trentini forse non si rendono conto della fortuna che hanno"; il riferimento è non solo al dibattito organizzato in questi giorni, in cui si cerca di affrontare razionalmente una questione che altrove viene cinicamente strumentalizzata, ma anche alle politiche di accoglienza sviluppate in questi anni nei confronti dei migranti. "Altrove va sempre più di moda la filosofia del 'Nimby', ovvero 'non nel mio giardino'; in Trentino si dice che 'arriveranno solo 25 profughi, noi ne accogliamo 30 all'anno'. Qui un discorso basato su principi di civiltà è sistematico, altrove sembra già un'eresia dire che 'potremmo farcela'. Si tenga conto che in Egitto e Tunisia, paesi non certo ricchi come l'Italia che stanno a loro volta affrontando cambiamenti epocali, sono arrivati dalla Libia circa 300.000 persone, e noi facciamo una tragedia per qualche migliaio. Nel 2008 arrivarono in Italia 36.000 migranti, 31.000 dei quali attraverso Lampedusa, eppure non parlammo di esodo biblico. Per cui, come giornalisti, dobbiamo innanzitutto recuperare l'aderenza ai fatti, e poi usare un linguaggio corretto, perché le parole sono importanti."
Dan Ion ha portato il punto di vista dei "nuovi trentini", che chiedono ai mass media di esercitare una funzione sociale ed educativa, aiutando i cittadini a crearsi una coscienza critica. E questo, con riferimento alle migrazioni, anche raccontando la realtà dei paesi di provenienza, quasi sempre ignorata dagli organi di informazione.
Scalettari a sua volta ha stigmatizzato l'uso fatto in questi giorni di espressioni come "esodo biblico", confrontando gli sbarchi a Lampedusa con esodi di ben altra portata, come quello che nel 1994 portò 2,5 milioni di ruandesi a lasciare il loro paese per rifugiarsi nel vicino Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo). "Quando arrivarono i primi barconi dall'Albania, vent'anni fa, scattò nel nostro paese una vera e propria gara di solidarietà - ricorda ancora il giornalista di Famiglia Cristiana - ; abbiamo raccolto le storie di alcuni di quegli immigrati, uno di loro, ad esempio, oggi è uno dei più bravi cineoperatori italiani: che fine avrebbero fatto se fossero arrivati adesso?" Da Scalettari inoltre un invito ai presenti - soprattutto ai giornalisti che lavorano nel sociale - ad essere un po' più smaliziati nel raccontare le vicende riguardanti l'immigrazione, evitando i toni sempre e comunque pietisti e raccontando anche le cose "belle", con le parole e con le immagini, come hanno fatto di recente persino testate come Vanity Fair o Marie Claire.
Don Cristelli ha illustrato i meccanismi che stanno dietro al confezionamento della notizia e l'impatto che questa produce, anche andando al di là di qualche luogo comune: "I media non creano nuovi comportamenti, piuttosto danno un metodo, mostrano una strada a chi ha già dentro di sé la tendenza a pensarla - o a comportarsi - in un certo modo." Viorica Nechifor ha illustrato l'impegno dell'Associazione di cui è presidente, sottolineando anche le difficoltà che spesso i giornalisti stranieri che operano sul panorama italiano riscontrano nell'iscriversi agli albi dell'Ordine, nonostante l'esistenza di una circolare ministeriale del 1985. Raffaele Crocco ha detto che in Italia "non è mai esistita un'età dell'oro, ovvero una forte cultura dell'accoglienza. Negli anni '70 il razzismo al Nord aveva come oggetto i Meridionali, che oggi dovrebbero dire grazie agli stranieri, perché quando sono arrivati loro lo hanno catalizzato." Riguardo al ruolo dei giornalisti, "facciamo fatica a cambiare una cosa che funziona benissimo e nel giornalismo l'emergenza funziona sempre, sia perché fa vendere di più sia perché gratifica l'ego del giornalista che se ne occupa. Succede anche qui: partiamo di qualche episodio di criminalità in piazza Dante come di una situazione di emergenza, ma altrove, dove sono abituati a ben altro, riderebbero di queste nostre esagerazioni. E poi attenzione: c'è anche un razzismo più subdolo di chi semplicemente non vuole accogliere gli immigrati, quello di chi spalanca loro le porte a patto però che si adattino a fare solo i lavori più umili e non avanzino pretese di ascesa sociale." Proprio per evitare ipocrisie, ha concluso Crocco, riprendendo un tema già affrontato ieri, non dobbiamo avere paura di dire che un marocchino ha fatto una rapina in banca se quella è la sua nazionalità, perché il giornalista deve innanzitutto raccontare.
Infine Sarti, per il quale il giornalista deve sì fare il suo dovere di "raccontare", ma deve anche "denunciare, e farlo con insistenza, deve martellare, al fine di far cambiare le cose che non vanno, perché altrimenti che senso ha fare questa professione?" Oggi il giornalismo cambia, si aprono possibilità diverse, ci sono ad esempio le web tv, anche quelle di piccolissime dimensioni, che raccontano, senza "filtri", la vita delle comunità. Ciò apre oppportunità nuove; ma bisogna fare formazione, sia nei confronti dei giovani sia anche - lo ha ricordato Franchi in chiusura - dei professionisti "navigati", perché quella del giornalista è l'unica professione che non prevede l'obbligo di un aggiornamento sistematico. "E qualcuno di noi si farebbe curare da un medico che non apre una rivista scientifica da 30 anni?".
A margine del forum di stamani è stato presentato il premio "Renato Porro", istituito dal Comitato provinciale per le comunicazioni del Trentino e riservato a programmi, prodotti e servizi trasmessi nel periodo 1 maggio-15 novembre 2011 dalle emittenti radiofoniche e televisive del Trentino sulle tematiche dell'immigrazione. Il bando sarà pubblicato entro la fine di aprile.
I lavori del convegno sono poi proseguiti nel pomeriggio al Seminario Maggiore. “Le parole sono pietre”, riecheggiando un romanzo di Carlo Levi, era il titolo dato al seminario di oggi pomeriggio.
I temi trattati si sono articolati in quattro momenti. Ha aperto la discussione Pino Rea, coordinatore del gruppo di lavoro Lsdi (Libertà di stampa/diritto all’informazione), che ha illustrato il potere a doppio taglio delle parole, citando termini ormai diventati comuni e che inquinano l’informazione e la società. Successivamente sono stati proiettati due trailer di film d’autore diretti dall’afghano Razi Mohebi e prodotti da Cinformi, che riguardano rispettivamente due dei problemi maggiori degli immigrati, la ricerca della casa e il problema del lavoro.
È toccato poi a Federica Sartori presentare la tesi con cui s’è laureata in lettere e filosofia dal titolo “Immigrati in Italia, dai luoghi comuni a luogo comune di cittadinanza. Analisi delle rappresentazioni sociali dell'immigrato nella stampa”. Hanno chiuso l’incontro due giovani del progetto “Dialoghi in cammino: esperienze e saperi per la cooperazione allo sviluppo”, che hanno raccontato il loro viaggio in Siria e le finalità del progetto.
Föra di ball è la frase con cui il giornalista Andrea Cagol, citando il ministro Bossi, ha aperto l’incontro per sottolineare come spesso la scelta del linguaggio per raccontare l’immigrazione possa essere denigratoria nei confronti degli immigrati. Ha poi dato la parola a Pino Rea il quale, partendo dal titolo del convegno “Le parole sono pietre”, ha analizzato la funzione appunto delle parole. “Esse sono sia arma, sia fonte di piacere intellettuale e artistico: il problema è che, chi le usa per motivi professionali, non se ne rende più conto”. Paragonando le parole ad un virus, Rea ha fatto capire come un loro scorretto uso possa entrare nel corpo della società, fino a radicarsi in essa per tradursi in veri e propri gerghi. Ne sono esempi termini come tsunami, parola usata per descrivere il flusso migratorio, rimpatrio ovvero föra di ball, aprire le magli e così via.
Ecco perché le parole non sono neutre. Utile, a questo punto, è stato l’invito ai giornalisti ad usare termini più adeguati, poiché non bisogna mai sottovalutare i danni che si possono arrecare a persone oggetto di notizia.
I trailer dei due film del regista afghano Razi Mohebi affrontano due fra i tanti temi problematici dell’immigrazione, la ricerca della casa e il problema del lavoro, che vanno comunque di pari passo con il con quello altrettanto importante dell’acquisizione dei documenti di soggiorno. Razi Mohebi ha ripreso il problema del linguaggio che descrive l’immigrazione: “Non è un problema solo legato ai media – ha detto il regista, – ma che coinvolge in profondità l’intera società, visto che oggi mancano coscienza sociale e dialogo. Per questi motivi, assieme alla moglie e assistente Sohelia Mohebi, ha creato il gruppo "Socio-Cinema", un progetto per usare la videocamera al posto della penna.
“Le badanti sono come i cellulari. Fino a quindici anni fa non ce l’aveva nessuno, oggi ce l’hanno tutti. È solo una questione di moda”. Con questa frase ha aperto il dibattito Federica Sartori, che ha così sottolineato la superficialità con cui vengono usate le parole. Sartori in questo è un’esperta, avendo affrontato il tema nella sua tesi di laurea “Immigrati in Italia, dai luoghi comuni a luogo comune di cittadinanza”. Il lavoro compiuto è stato di per sé semplice e complesso: per un anno la laureanda ha quotidianamente analizzato il tema dell’immigrazione così come veniva trattato da due giornali, uno locale e l’altro nazionale. Marginalità, una certa superficialità, predilezione per la devianza sono le caratteristiche comuni del linguaggio usato e delle scelte fatte dai giornali, anche se a livello locale si può notare un approccio più concreto e più positivo.
Il convegno si è concluso con l’intervento di Andreas Fernandez e Michele Viganò, due giovani del progetto “Dialoghi in cammino” esperienze e saperi per la cooperazione allo sviluppo. I ragazzi stanno partecipando alla seconda edizione del progetto, nato nel 2009. “Dialoghi in cammino” si è sviluppato in tre fasi: in un primo momento presso il Centro di formazione alla solidarietà internazionale”, poi in un viaggio in Siria (Paese multietnico) e infine oggi prosegue nella restituzione sul territorio delle esperienze vissute. L’obiettivo è quello di creare gruppi di giovani in grado di approfondire le tematiche dell’immigrazione attraverso la convivenza, il dialogo religioso e l’interculturalità.

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Pubblicato il: Venerdì, 01 Aprile 2011 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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