06/05/2013
In questa intervista prima della sua nomina Kyenge svela particolari inediti sul suo impegno di vita e sulle sue prioritàIntervista al ministro Kyenge
Da ormai 9 anni è “salita” in politica, da dove è nato questo impegno?
Il mio impegno è nato conseguentemente al mio impegno nell’associazionismo, mosso dall’intento di dare voce ai più deboli. Un percorso nella società civile che ha rappresentato un’opportunità di crescita, tanto che in poco tempo sono passata alla politica. Ho iniziato spinta da una cara amica. È parlando con lei che è maturato in me l’entusiasmo di lavorare dapprima nel settori volontariato, cooperazione internazionale, cultura e sanità. Da qui sono passata in circoscrizione, facendo un lavoro capillare sul territorio e portando avanti, con il sostegno della società civile, molte battaglie sui temi dei diritti universali e dell’immigrazione.
Ci sono stati momenti più salienti, di svolta, di comprensione?
Direi di no, quello che ha sempre prevalso è la passione della quotidianità: ogni passaggio è stato importante nella mia formazione personale e politica e questo ha fatto sì che il mio percorso andasse sempre verso il meglio verso un accrescimento delle mie competenze.
Per cosa si è battuta di più, in che ambiti?
Mi sono impegnata soprattutto nell’immigrazione, nella cultura e nella sanità e in senso più largo nella lotta per garantire l’estensione dei diritti fondamentali di ognuno. È stato sempre centrale per me raccogliere i temi che emergevano dal confronto con la società civile; sento che fare politica è tradurre queste voci in proposte politiche capaci di cambiare le leggi, la cultura e la politica stessa.
Crede che la sua “differenza culturale” abbia condizionato il suo impegno, rendendola maggiormente sensibile a ingiustizie e discriminazioni?
A rendermi sensibile alle discriminazioni sono stati il mio vissuto personale da migrante e il mio percorso politico. Non credo che si possa parlare di differenza culturale, se mai di valore aggiunto di questa presunta differenza. Ognuno di noi porta in sé identità plurime, dunque si può parlare solo delle numerose culture meticcie che tutti ci portiamo dentro, indipendentemente dalla terra di origine, poiché l’identità personale si forma nel confronto con l’altro.
Varare una legge per i diritti di cittadinanza dei cittadini stranieri è veramente un punto di partenza così importante?
L’estensione della cittadinanza è un riconoscimento di fatto di ciò che è già cambiato nel paese: ci sono quasi un milione di minori figli dell’immigrazione, residenti stabilmente in Italia e di questi oltre 570.000 sono nati nel nostro paese e più di 600.000 frequentano le nostre scuole. Un esercito di “non cittadini” che rappresentano però il futuro dell’Italia e devono avere parte attiva nel processo di cambiamento del paese. Quando si parla di cittadinanza parliamo quindi anche di diritto di voto amministrativo, di diritti e doveri che, se vengono negati ad una parte della popolazione, inevitabilmente, prima o poi, verranno negati a tutti. Ci vuole perciò un’autentica “unità d’Italia” con un’inedita visione dell’immigrazione radicata nei principi della nostra Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.
Da dove partire per attuare questa visione? Da una nuova legge sull’immigrazione, dalla revisione di quella attuale?
Un punto fondamentale ... è la necessità di una nuova legge sull’immigrazione ed un ripensamento delle modalità d’ingresso nel paese. Dunque la naturale abrogazione della legge Bossi-Fini, del reato di clandestinità e dei CIE per dirigersi verso una nuova legge delega in materia. In generale dobbiamo passare da un approccio securitario e repressivo ad un approccio inclusivo che valorizzi appieno le competenze del migrante.
Viviamo n un momento di crisi delle imprese e dell’occupazione. Come tutelare i diritti dei lavoratori, italiani e migranti, evitando di innescare le “competizioni fra poveri” che arrivano a giustificare diffusi atteggiamenti razzisti se non un razzismo istituzionale, come avviene sempre più spesso in Grecia?
Dobbiamo in primo luogo combattere il falso stereotipo degli immigrati che vengano a rubare il lavoro: 8 milioni di contributi, 4 milioni di tasse che sono un sostegno concreto all’Inps. Eppure dati recenti della regione Emilia Romagna dicono che il salario medio dei cittadini stranieri è ancora di quasi del 25% più basso di quello italiano. Non differenzierei lavoro migrante da lavoro italiano poiché i diritti dei lavoratori sono comuni. Il problema dello stato italiano è quello di attuare riforme strutturali che diano dignità e garanzia al lavoro in modo da rafforzare tutti i settori garantendo salari adeguati. I posti di lavoro ci sono già, bisogna renderli stabili e combattere la precarietà anche con l’estensione degli ammortizzatori sociali alle categorie ora esenti e con un reddito sociale minimo.
Veniamo alla politica estera e alla cooperazione internazionale. Pensa che un cambiamento di impostazione potrebbe influire sui motivi delle partenze di molti stranieri che giungono in Italia?
C’è bisogno di una politica internazionale decentrata e di cambiare la legge 49 sulla cooperazione mettendo al centro il protagonismo del migrante. La chiave è il co-sviluppo: un movimento di mutuo scambio e trasformazione socio-economica, culturale e politica capace di legare in modo inedito e virtuoso l’integrazione alla cooperazione internazionale, sostenendo le capacità e la mobilità dei migranti. Una proposta che si basa sulla fondata convinzione che le risorse e le attività connesse ai movimenti migratori possano innescare e favorire processi di miglioramento tanto nei territori di origine quanto in quelli di destinazione.
Il diritto d’asilo in Italia è un aspetto critico in Italia: come rafforzarlo e come garantire un’accoglienza migliore ai rifugiati?
La politica italiana di asilo si contraddistingue nell’assenza di una vera legge organica in materia: un nuovo governo dovrà costruire una politica comune di ingresso e soggiorno, nonché politiche di promozione della mobilità e tutela dei diritti ancorata a nuovi partenariati con i paesi di transito. L’Ue sta ridisegnando la legislazione in materia di accoglienza: procedure comuni, individuazione dello Stato membro responsabile per l’esame delle domande, raccolta dei dati biometrici in una banca dati. Un disegno di procedura comune che dovrebbe avere un livello elevato di garanzie e includere la cooperazione nella gestione dell’immigrazione ma oltre a ciò essere legata a un sostegno reale ai processi di democratizzazione, alla lotta contro la povertà, allo sviluppo economico e sociale dei paesi di origine di migranti e rifugiati.
Esiste spesso una sorta di “ghettizzazione” per cui politici, studiosi, artisti migranti devono occuparsi solo di tematiche legate alla propria esperienza personale. Andando oltre questa facile e dannosa etichettatura, ci racconti in breve quali sono per lei i temi più importanti dell’agenda politica dei prossimi anni.
Indubbiamente l’immigrazione è un tema trasversale che tocca ogni aspetto della società e dell’economia italiane, ma nonostante questo credo sia fondamentale ripensare a uno sviluppo economico con politiche di crescita basate sugli assi ambiente, lavoro e cultura. Quindi, molto in breve, incentivare forme di imprenditoria cooperativa, giovanile, creativa e sostenibile per arrivare a coniugare lavoro con ecologia e ambiente e promuovendo attivamente la formazione.
Giacomo Zandonini