08/05/2007
L’inserimento socio-lavorativo dei cittadini stranieri attraverso i due punti di vista di un italiano e di un immigrato originario del Marocco attivi nello stesso sindacato...Immigrati protagonisti dell'integrazione
L’inserimento socio-lavorativo dei cittadini stranieri attraverso i due punti di vista di un italiano e di un immigrato originario del Marocco attivi nello stesso sindacato. È questo il tema al centro della doppia intervista ad Antonio Rapanà, responsabile del settore immigrazione della Cgil e Assou Elbarji impiegato presso lo stesso sindacato.
Come è iniziata la sua attività riguardo l’immigrazione nell’ambito sindacale? Antonio: Questa attività l’ho iniziata in maniera casuale. Io mi ero già occupato di una questione importante come questa. Venivo da un’esperienza associativa che si era conclusa in modo traumatico. Dal 1999 ho lasciato il lavoro come insegnante e sono entrato alla Cgil a tempo pieno ad occuparmi di questa attività ma anche di lavori precari, politiche sociali, etc. Un’esperienza arricchente, faticosa, impegnativa che credo mi abbia modificato molto e penso che proseguirò anche dopo che lascerò la Cgil, in forme completamente diverse ovviamente.
Come è iniziata la collaborazione con la Cgil? Assou: L’esperienza con la Cgil è iniziata due anni fa. Ho conosciuto il sindacato attraverso i vari tirocini svolti presso l’Ufficio vertenze quando stavo per laurearmi in economia e commercio all’Università di Trento. È stato poi Antonio Rapanà a propormi di venire a collaborare con la Cgil e dopo vari colloqui ho cominciato a lavorare nell’Ufficio vertenze della Filcams. Ora assisto gli immigrati nella compilazione dei kit per l’invio delle pratiche per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno.
Come può essere definita la presenza degli immigrati nel mondo sindacale (sia come assistiti, sia come soggetti attivi)? Antonio: In Trentino secondo me c’è una situazione particolare che vede i cittadini lavoratori immigrati più come soggetti subalterni che protagonisti in un percorso di emancipazione personale e collettiva. Credo che questo sia l’elemento più debole di tutta l’esperienza migratoria in Trentino. I cittadini stranieri sono oppressi da una parte da una mole pesante di problemi, di contraddizioni immediate. Dall’altra parte, molto spesso provengono da Paesi, da culture politiche in cui gli spazi, i percorsi di partecipazione sono modesti o addirittura sconosciuti. Io credo che uno degli obiettivi importanti sia proprio questo: promuovere un atteggiamento di partecipazione vera più incisiva perché la partecipazione non basta evocarla, occorre costruire spazi, occasioni, esperienze.
Quali sono i rapporti con i colleghi del sindacato e con i lavoratori? Assou: I rapporti con i colleghi sono abbastanza positivi. Non si respira quell’aria competitiva che si incontra forse all’interno delle realtà private che mirano al profitto. C’è tanto lavoro da fare e quindi c’è anche la tensione ma è una tensione sana, non cattiva. Riguardo il rapporto con i lavoratori, dipende dal singolo caso. Ci sono dei lavoratori che presentano il loro problema in modo aggressivo pretendendo una risposta immediata. Una parte dei lavoratori immigrati si iscrive al sindacato per essere tutelata. Ma nella maggioranza dei casi gli stranieri si rivolgono al sindacato soltanto nel caso in cui ricevono un provvedimento disciplinare oppure se hanno problemi sul lavoro. Quindi il sindacato viene visto da questi ultimi come un punto di riferimento in situazioni di emergenza.
Qual è il caso concreto di cui si sta occupando ora (senza scendere nei dettagli per il rispetto della privacy)? Antonio: Casi concreti ce ne sono tanti, alcuni più preoccupanti perché rivelano una situazione non rara di lavoratori chiamati da un datore di lavoro attraverso meccanismi che vale la pena di indagare qualche volta in maniera più approfondita. Giunti in Italia, il datore di lavoro nega l’assunzione. Questa è una questione molto grave perché molto spesso nasconde delle complicità tra datori di lavoro e cittadini immigrati che già vivono in Trentino e che svolgono la funzione di intermediazione per quanto riguarda l’attivazione di procedure come queste. D’altra parte ci sono dei meccanismi della chiamata stessa che favoriscono fenomeni simili. Chi è il datore di lavoro che richiede lavoratori che non conosce? Molto spesso si crea una catena di complicità che può avere anche una connotazione malavitosa. Anche qui si tratta di dare una tutela a queste persone così come abbiamo sempre fatto rispetto ai lavoratori irregolari, perché se è vero che per loro non sarà possibile comunque - almeno con la normativa attuale - ottenere un permesso di soggiorno, il clandestino ha in ogni modo i diritti contrattuali di tutti i lavoratori; non è uno schiavo e qualche datore di lavoro molto spesso se lo dimentica. Assou: Non c’è un caso singolo. Da dicembre, da quando è partita la procedura alle Poste, assistiamo gli immigrati nella compilazione dei kit e da allora affrontiamo i casi degli stranieri che hanno in carico figli da 14 a 18 anni che devono fare la domanda di rinnovo pagando 72 euro per ciascun figlio. Spesso questi si lamentano per il costo alto.
Secondo lei, è giusto che vi sia una parità di diritti fra cittadini del posto e immigrati? Qual è il livello raggiunto finora? Antonio: Più che giusto è inevitabile, è umano, è civile. Anche qui credo che debba essere fatta chiarezza su quel concetto che viene spesso utilizzato in maniera stravagante, quel concetto di integrazione, molto ambiguo antropologicamente. Quando mi riferisco all’integrazione non mi riferisco solo all’inserimento economico, che è importante ma non basta. Non conosco integrazione che non sia fondata sulla parità dei doveri e dei diritti. Una situazione che mantenesse disuguaglianze e disparità può assumere la configurazione di una convivenza forse conflittuale, caotica, incivile. Io credo che l’integrazione vera deve essere inseguita costruendo progressivamente una situazione di vera parità di diritti e doveri in campo economico, politico e sociale. Il processo è lungo, richiede pazienza, potrà avvenire in tempi medio-lunghi ma importante è la prospettiva. Se i piccoli passi vanno in una direzione come questa sono utili, altrimenti sono ingannevoli e possono peggiorare le condizioni. Quello che è successo in Francia ce l’ha appunto insegnato. Se qualcuno pensa di creare una convivenza basata sulla disuguaglianza dei cittadini di serie A e serie B sappia che questa sarà una convivenza conflittuale, caotica, nociva per tutti. Assou: Spesso un lavoratore immigrato è percepito come un fattore produttivo e il ruolo suo si limita a questo. Quando ha finito di lavorare in fabbrica appena esce viene praticamente annullato come persona. Loro possono andare d’accordo con i colleghi di lavoro ma vediamo che nella vita condominiale sono dei fantasmi e spesso si sentono non integrati nella società. L’integrazione piena è quella che si vive in piazza, sull’autobus, quando ci si incrocia nell’ingresso del condominio perché l’integrazione economica viene automaticamente.
Esiste (soprattutto nel mercato del lavoro) una vera competizione tra immigrati e italiani? Antonio: La presenza degli stranieri nel mercato del lavoro è una presenza ormai forte, strutturale ma è evidentemente una presenza complementare soprattutto in alcune aree di nordest, nordovest e anche nel Trentino, dove il mercato del lavoro offre delle opportunità abbondanti agli immigrati, però con certe caratteristiche. Si tratta di lavori poco qualificati, lavori faticosi, lavori che gli italiani non vogliono più fare. Ormai tutti ammettono che il lavoro degli immigrati è utile, necessario e conveniente. Io tenderei quindi ad escludere la competizione. Non conosco trentini che effettivamente lamentino di aver perso il posto di lavoro, perché una donna immigrata lavora nelle pulizie, un lavoratore polacco viene a raccogliere le mele, un macedone viene a spaccare le pietre o un maghrebino svolge lavori umili nella ristorazione. A volte questo argomento viene utilizzato prevalentemente come un capro espiatorio. I cittadini immigrati servono anche a questo: a far sfogare ai cittadini italiani le frustrazioni che li fanno sentire sempre più insicuri. Assou: Secondo me non c’è nessuna competizione. I lavoratori italiani e quelli immigrati viaggiano quasi su due binari diversi. Gli immigrati vengono occupati nei posti di basso profilo, sono soggetti alla precarietà. Rispetto a un italiano un cittadino immigrato è più disposto a lavorare in nero, a fare gli straordinari perché è soggetto a diversi ostacoli e minacce. Perché se perde il lavoro non vede rinnovato il permesso di soggiorno, rischia di non trovarsi la casa e quindi ha un potere contrattuale minore rispetto a un lavoratore italiano. La competizione io l’ho vissuta sulla mia pelle nel senso che da immigrato, quando mi rivolgevo ai datori di lavoro, non mi vedevano come una persona che potesse essere occupata in un impiego d’alto-medio profilo ma come operaio, anche se laureato. Mi è successo, ad esempio, di rivolgermi ad una azienda qualche anno fa che aveva due sezioni, una per gli operai e una per gli impiegati. Io ho scelto quella degli impiegati e allora mi hanno detto subito che avevo sbagliato la sezione e che dovevo andare in quella degli operai, perché secondo loro essendo straniero era quella la destinazione finale per me. Attualmente svolgo un lavoro più adeguato alle mie capacità, ma penso siano troppo pochi i casi come il mio.
Qual è la sfida della Cgil del Trentino rispetto all’integrazione degli immigrati? Antonio: La sfida della Cgil è rompere la segregazione come destino da accettare come naturale, eterno, immutabile. Noi vogliamo che si cambi la situazione: una badante può essere una moldava o un’italiana, ma una moldava può essere anche un’impiegata o una manager, un’intellettuale. Questa è la situazione che vogliamo costruire, questa è la vera integrazione, questa è la prospettiva che per noi deve essere una sfida, altrimenti tutto il discorso su integrazione e pari opportunità diventa chiacchiere. Quando parliamo di processi di integrazione solitamente ci riferiamo alla società dell’accoglienza. Io pongo invece con tutte le mie forze la necessità della responsabilità che anche i cittadini immigrati devono assumere per costruire una società di uguali nel rispetto dei valori. Assou: Penso si debba lavorare politicamente e socialmente per dare spazio agli immigrati perché dimostrino quello che valgono. La nostra sfida è quella di vedere l’immigrato coinvolto all’interno della fabbrica, della segreteria, del direttivo dandogli anche gli strumenti per poter partecipare. L’immigrato si sente spesso soffocato da tanti altri problemi, dunque pensa spesso all’immediato, al problema della casa, al pagare l’affitto, al rinnovo del permesso di soggiorno. Le leggi cambiano continuamente e lo straniero si sente instabile, non sa che progetti fare per il futuro. Sa che finché non vota la sua partecipazione non ha nessun peso e secondo me sono diversi gli aspetti da sviluppare a livello politico e normativo per poter dare più tranquillità allo straniero.