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Da profughi a "casari": la storia di Nouhoun e Chinedu

24/12/2015

Nouhoun: “Forse un giorno tornerò in Mali per fare il casaro nel mio paese”

Da profughi a "casari". Da alcuni mesi nel caseificio degli Altipiani e del Vezzena di Lavarone lavorano due giovani migranti originari dell’Africa. Uno di loro, Chinedu, sta svolgendo un tirocinio formativo, mentre l’altro, Nouhoun, ha già concluso il periodo formativo ed è stato assunto attraverso un’agenzia interinale.
Lavarone ha 1.110 abitanti e fa parte della Magnifica Comunità degli Altipiani cimbri, di cui è capoluogo. Si trova a 1.200 m di altitudine ed è un comune che conta 19 frazioni. Ad interpellare le aziende locali alla ricerca di tirocini formativi per i richiedenti asilo sono gli operatori dei partner che collaborano nell'accoglienza col Cinformi, Centro informativo per l’immigrazione della Provincia autonoma di Trento. E la proposta degli operatori è arrivata anche al caseificio, come spiega la presidente della cooperativa che lo gestisce, Marisa Corradi. “Abbiamo accolto l’opportunità proposta dal Cinformi e nel periodo trascorso dai ragazzi a lavorare nel caseificio - racconta la presidente - abbiamo potuto testare soprattutto l'approccio verso il lavoro e l’interesse mostrato da parte loro per apprendere questa professione. Fattori che ci hanno spinto ad assegnare ai ragazzi compiti sempre più complessi per responsabilizzarli in quello che stanno facendo.” Infatti, vedendoli all’opera i giovani non si fermano un attimo. Si muovono con molta disinvoltura da un macchinario all’altro, compiendo tutte le operazioni necessarie alla preparazione dei vari tipi di formaggio, tra i quali il Vezzena.

“Questo formaggio lo abbiamo fatto noi”
“L'esperienza con i ragazzi è positiva”, spiega la signora Marisa. “Siamo partiti nell'estate 2015 con questo progetto formativo di tirocinio con Nouhoun e per lui è già trascorso un periodo di assunzione tramite l’agenzia di somministrazione che poi, d'accordo con lui, si trasformerà in un rapporto di lavoro che proseguirà anche negli anni futuri. Chinedu sta ancora svolgendo il periodo di tirocinio formativo e poi valuteremo il da farsi. Grandi difficoltà nel rapporto con loro non ve ne sono state, anche perché sono umili e disposti ad imparare. Inoltre sono molto uniti e quando viene loro insegnato qualcosa di nuovo capiscono al volo. Un po' alla volta hanno cominciato a lavorare in autonomia, cosa che anche per loro rappresenta una grande soddisfazione. Lo percepisco da come dicono orgogliosi, quando vengono a pranzo nella mia famiglia, che “questo è il formaggio che abbiamo fatto noi”.

La storia di Nouhoun e Chinedu
Nouhoun, 23 anni, “ribattezzato” Valentino a Lavarone, proviene dal Mali. Ha dovuto lasciare la madre, il padre, i fratelli e le sorelle per vicende delle quali preferisce non raccontare. In Libia, dove è giunto dopo un viaggio molto difficile, è rimasto per circa due anni, ha lavorato come giardiniere e a causa della guerra è dovuto scappare con una barca e raggiungere le coste italiane a Lampedusa. Era l'agosto del 2011 e in Italia era in corso l'accoglienza per l'Emergenza Nord Africa. Dal sud Italia, Nouhoun è stato mandato in Trentino, al Campo della Protezione civile di Marco di Rovereto ed è stato poi ospitato in uno degli appartamenti che il Cinformi gestiva in collaborazione con altri enti pubblici e privati. In Trentino il giovane è riuscito a svolgere anche altre esperienze di lavoro, in malga e in caseificio. A Lavarone è giunto nell'estate del 2015 per svolgere un tirocinio di due mesi. Concluso il tirocinio è tornato a Rovereto, dove abitava con alcuni amici, ma poco dopo è arrivata la chiamata con la quale veniva avvisato che la cooperativa aveva deciso di offrirgli la possibilità di lavorare con un contratto dall'ottobre 2015. A premiarlo è stata, fra l'altro, la sua volontà di imparare. “Anche se avevo svolto anche prima questo lavoro - precisa Nouhoun - qui le cose sono molto diverse, perché c’è più latte da lavorare e anche i macchinari sono molto diversi e più complessi”. La parlata di Nouhoun ha un leggero accento trentino che sembra proprio tipico dell’altopiano dove ha imparato a fare i formaggi che ci elenca: “Vezzena, Dolce latte, Caciotte piccole, Lavarone dolce...”
Nouhoun fa squadra con Chinedu, che ha 24 anni ed è originario della Nigeria. Chinedu è ancora un tirocinante. E’ andato via dal proprio paese d’origine nel marzo 2013 e per un anno ha lavorato in Libia come saldatore, lavoro che ha imparato e svolto anche in Nigeria. Quello in Libia è stato un periodo molto duro per Chinedu, simile a quello passato anche da Nouhoun. Tutti e due hanno dovuto vivere momenti di terrore come i bombardamenti e assistere a violenze su donne e bambini che venivano malmenati in strada. Per il giovane la situazione era diventata impossibile da sopportare. Non poteva tornare nel paese d’origine e per salvarsi la vita ha dovuto, come tanti altri, pagare il viaggio in barcone per attraversare il Mediterraneo e giungere in Europa. “Non avevo paura”, racconta Chinedu. “Ho messo la vita nelle mani di Dio ed ero pronto ad accettare qualsiasi cosa accadesse, cioè vivere o morire”.
Nel maggio 2014, il giovane nigeriano ha toccato la terra italiana grazie al salvataggio da parte della Marina Militare. “La mattina del giorno dopo il mio arrivo in Sicilia - ricorda Chinedu - sono stato chiamato per partire verso il Trentino. Sono stato fortunato, perché è stato meraviglioso vedere le montagne. Dal campo di Marco di Rovereto sono stato trasferito a Castelfondo e poi in appartamento a Miola di Pinè - racconta il giovane - e fino ad oggi mi è stato offerto e insegnato molto dalla gente trentina e in particolare dagli operatori del Cinformi. Ho ricevuto vestiti, scarpe e cibo, ho avuto la possibilità di imparare l’italiano, mi è stato insegnato a tagliare l’erba, come pulire la casa. Tutto questo mi ha aiutato molto anche a non pensare al mio passato doloroso.”
L'entrata in comunità e i progetti per il futuro
La signora Marisa non è solo un datore di lavoro per i due giovani. Infatti cerca di far conoscere ai “casari in erba” anche ambienti diversi dal caseificio, ponendosi come “ponte” per il loro inserimento nella comunità di Lavarone. “Nouhoun è già entrato nella squadra di calcio ed i ragazzi lo hanno accolto e hanno già creato un legame di amicizia. Chinedu invece è frenato un po' dalla lingua, ma ci stiamo attivando affinchè qualche insegnante in pensione possa dedicare un po' di tempo ad insegnargli la lingua italiana”, racconta la signora Marisa che aggiunge: “Cerco di avvicinarli anche alla mia famiglia, perché ho quattro figli che sono molto interessati alla storia e alla cultura diversa dei due ragazzi. Penso poi che sia importante che i miei figli possano conoscere realtà diverse e capire che spesso la vita non è affatto facile”.
I due giovani africani hanno ancora qualche piccola difficoltà nell'ingresso in comunità, ma hanno anche tanta voglia di diventarne parte. “Sono uscito un paio di volte, ma non conosco tanta gente”, spiega Nouhoun. “Le persone dell’altipiano che ho conosciuto sono molto simpatiche. Mi trovo bene qui e in questa azienda. La famiglia di Marisa è diventata quasi come la mia famiglia perché sempre mi invita a cenare, a pranzare o mi porta da mangiare. Mi sono affezionato a loro, forse anche perché io non ho nessun parente qui in Italia, solo qualche amico connazionale”. Parlando del futuro, Nouhoun esprime tutto il proprio ottimismo: “Vorrei continuare a fare il lavoro che sto facendo e, se riesco a imparare a farlo bene, vorrei diventare un casaro e forse potrei creare un'azienda come questa nel mio paese o da un’altra parte. Sì, mi piacerebbe aprire un caseificio in Mali. Anche perché mio padre ha una fattoria di mucche, pecore e capre. E abbiamo abbastanza mucche ma il latte che producono è poco; io qua però ho imparato come si allevano bene e forse un giorno tornerò in Mali per fare un buon formaggio anche lì. Per Chinedu il futuro è più incerto rispetto a quello di Nouhoun. “Vorrei intanto imparare bene a fare i formaggi; poi io non dico mai che devo fare questo o altro; l'importante è trovare un lavoro qualunque e ovunque sia e vivere sereno”.

RICHIEDENTI PROTEZIONE INTERNAZIONALE E TIROCINI, ECCO COME FUNZIONA
La normativa provinciale (in recepimento della legge nazionale) prevede che per ogni tirocinio formativo e di orientamento attivato in provincia di Trento venga erogata un'indennità di partecipazione al tirocinio non inferiore ad € 300,00 mensili o € 70,00 su base settimanale e non superiore ad € 600,00 mensili. La normativa prevede però “l’esenzione, totale o parziale, dall’erogazione dell’indennità di partecipazione al tirocinio nei confronti di soggetti svantaggiati o disabili, richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale qualora già beneficiari di sussidi economici.” Visto che i richiedenti e titolari di protezione accolti nei progetti d'accoglienza che fanno capo al Cinformi sono beneficiari di sussidio economico, il soggetto promotore del tirocinio (la Provincia autonoma di Trento) è esentato dall'erogazione dell'indennità di partecipazione. Dopo otto settimane di tirocinio non retribuito, se l'esperienza formativa viene prorogata, l’onere di corrispondere l'indennità ricade sull’azienda ospitante. Dal momento in cui il richiedente percepisce l’indennità legata al tirocinio è sospesa l’erogazione del sussidio economico.

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Pubblicato il: Giovedì, 24 Dicembre 2015 - Ultima modifica: Mercoledì, 27 Giugno 2018

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