28/07/2016
La fuga dalla guerra, la dura vita nel campo profughi in Libano, un nuovo inizio in terra trentinaCorridoio umanitario, storia dei siriani accolti in Trentino
Grazie, grazie e ancora grazie. Lo ha detto più volte uno dei padri di famiglia siriani accolti in Trentino, presso Villa S. Nicolò, durante l'incontro con la stampa a Trento nel quale è stata presentata l'iniziativa del primo corridoio umanitario per l'arrivo di profughi in Europa. In Trentino sono giunti, grazie a questo progetto, 29 richiedenti protezione internazionale siriani. Un grazie, quello delle famiglie accolte, rivolto alla Provincia autonoma di Trento e alla Diocesi, ma rivolto anche a tutti i soggetti che a vario titolo hanno reso possibile l'arrivo in sicurezza delle famiglie siriane nel progetto di accoglienza in Trentino: Governo, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Comunità Papa Giovanni XXIII, Tavola valdese e corpi civili di Pace di Operazione Colomba.
Il corridoio umanitario
Il 29 febbraio 2016, 93 profughi siriani (24 famiglie) sono arrivati in aereo a Roma (volo Beirut-Fiumicino) grazie al “corridoio umanitario” aperto dall’Italia in risposta all’emergenza migranti. Si tratta del primo corridoio umanitario in assoluto in Europa. L’iniziativa, sotto l'egida del Governo italiano, è stata resa possibile dall’intesa siglata il 15 dicembre 2015 fra Governo, Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Comunità di Sant’Egidio, Comunità Papa Giovanni XXIII, Tavola valdese e corpi civili di Pace di Operazione Colomba.
L'impegno del Trentino
Con un Ordine del giorno approvato con maggioranza trasversale, il Consiglio provinciale ha impegnato la Giunta provinciale a sostenere il progetto di apertura del canale umanitario con il Libano al fine di mettere in protezione un gruppo di famiglie. Si tratta di 29 persone che presentano vulnerabilità (a cominciare dalle loro condizioni di salute) e che sono imparentate tra loro (tredici adulti e sedici bambini, quattordici dei quali sotto i sette anni).
Prima di arrivare in Italia, queste famiglie siriane hanno vissuto per due anni in un piccolo campo profughi a nord del Libano, nella regione dell'Akkar, a quattro chilometri dal confine siriano. Si tratta di persone scappate insieme da Homs, città al di là del confine rasa al suolo dalla guerra. Nel corso del conflitto le case di queste famiglie sono andate distrutte. I 29 siriani accolti in Trentino hanno ottenuto un visto umanitario a territorialità limitata rilasciato dall’ambasciata italiana in Libano.
L’accoglienza a Ravina di Trento
Le famiglie siriane giunte in Trentino si sono sistemate presso Villa San Nicolò, nei pressi di Ravina, un tempo residenza estiva dell’Arcivescovo. Lo stabile, prima inutilizzato, è stato ristrutturato e messo a norma a spese dell’Arcidiocesi, ricavandone alloggi autonomi in grado di ospitare al meglio le famiglie di profughi. L'accoglienza delle famiglie siriane è gestita d'intesa con l'Arcidiocesi di Trento, che mette a disposizione a titolo gratuito la struttura di Villa S. Nicolò. Sono operatori di Fondazione Comunità solidale (struttura operativa della Diocesi) e della Provincia, attraverso il Cinformi, a seguire e assistere i siriani accolti. Le modalità di assistenza sono analoghe a quelle previste per la generalità dei richiedenti protezione internazionale assegnati dallo Stato al Trentino.
In particolare, i servizi che vengono offerti sono vitto e alloggio, beni di prima necessità, mediazione linguistico-culturale, sostegno psico-socio-sanitario, orientamento giuridico sulla protezione, corsi di lingua e cultura italiana, percorsi di facilitazione alla vita comunitaria, corsi di formazione al lavoro e al volontariato.
Il corridoio umanitario aperto dall’Italia prevede complessivamente l’arrivo di un migliaio di persone in due anni non solo dal Libano, ma anche da Marocco ed Etiopia.
La fuga dalla guerra e la dura vita nel campo profughi in Libano
Difficile guardare i video e le foto di quella che una volta era la città natale. Scheletri di palazzi, macerie dappertutto. Mentre ce le fa vedere, uno dei migranti siriani accolti mette la mano al cuore ma trattiene le lacrime. Prova invece a sorridere e poi a ridere, invitando gli altri a fare lo stesso per allontanare quelle immagini dalla mente e alimentare la speranza invece del dolore.
Siamo in una pausa del corso di italiano organizzato presso la residenza San Nicolò a Ravina di Trento. Lui si chiama Aburadia e al corso ci sono altri dieci “studenti” mentre altri due, marito e moglie, sono al Cinformi per prepararsi in vista del colloquio davanti alla Commissione dello Stato che valuterà le loro domande d'asilo. Tutti i siriani accolti in Trentino sono imparentati fra loro. Un membro della famiglia è rimasto in Siria e un altro è morto; altri parenti sono invece in Svezia.
Mentre gli adulti imparano l’italiano, i bambini giocano con alcune volontarie. Altri bambini, più grandi, frequentano la scuola in città. Ne conosciamo due al ritorno dalle lezioni. Hanno il viso stanco, ci scrutano con sguardo sorridente e poi si incamminano verso l’edificio che al momento è la loro casa.
Per cercare di scoprire di più sul percorso di vita di alcuni dei profughi accolti chiediamo aiuto per la traduzione a Tommaso, operatore di Fondazione Comunità Solidale, e ai volontari Gennaro, Marta e Nicola di Operazione Colomba. Prima che scoppiasse la guerra, la vita scorreva serena in Siria. Nella loro città, Homs, le persone oggi accolte in Trentino avevano una casa di proprietà e lavoravano in edilizia come muratori, capi cantieri e imbianchini, oppure come taxisti.
Ataa e Abdelsalam sono marito e moglie. Si sono sposati nel 2010 e hanno due figli, un maschio nato in Siria a Homs e una femmina di soli tre anni nata mentre si trovavano nel campo profughi Tell Aabbas, in Libano. Un campo in cui vivevano sessanta persone distante solo sei chilometri dalla Siria e sessanta chilometri dalla loro città che hanno abbandonato assieme ai parenti nel 2011 a causa della guerra. Sono riusciti però a salvare la cosa più preziosa, la loro vita e quella del figlio. Fino all’inizio del 2013 hanno continuato a spostarsi da un luogo all’altro, prima in Siria e poi in Libano, nella regione dell'Akkar, dove si sono fermati. Mancava l'acqua, portata con le taniche, la corrente si poteva usare solo per qualche ora al giorno e i bambini non potevano studiare poiché non c'era una scuola. Inoltre, la famiglia era ancora profondamente segnata dal dolore per la perdita dei fratelli, dei genitori, dei vicini, dei parenti arrestati, che erano morti o dati per dispersi.
La vita nel campo alternava momenti di speranza e momenti di buio che avvolgeva i loro pensieri e si rispecchiava, poi, nei loro volti stanchi e tristi. Con loro, per qualche mese, al campo profughi in Libano sono stati anche Marta e Gennaro di Operazione Colomba. “Per campare – ci racconta Marta – veniva data loro mensilmente una tessera dall’Unhcr (Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), che all’inizio veniva caricata con 29 dollari; poi l’importo è stato abbassato a 19 e infine a 13 dollari al mese. Oltre al cibo che compravano con la tessera nei piccoli supermercati, ogni tanto arrivavano anche degli aiuti delle organizzazioni umanitarie. Ma per vivere decentemente – sottolinea Marta – servivano almeno 200 dollari per una famiglia. Non avendo altra scelta, si sono adeguati e hanno dimostrato una grande forza di volontà”.
Negli ultimi anni sono riusciti a costruire un parco giochi e ad avviare una scuola per i bambini. I ricordi della vita nel campo sono conservati nel cellulare di Aburadia. Immagini che parlano da sole: acqua, fango, bambini che corrono scalzi. E così, più o meno, vive probabilmente circa un milione e mezzo di profughi siriani in Libano, paese che ha una popolazione di quasi quattro milioni di abitanti.
Il costante pensiero dei profughi siriani era di poter tornare un giorno a casa in Siria. Ma la guerra continuava: nella loro città, Homs, la vita non esisteva più. L’unica speranza, quindi, era venire in Europa nella consapevolezza del rischio di perdere la vita attraversando il mare. Un parente aveva perso la vita proprio viaggiando su una “carretta del mare” verso l’Europa. Ma poi, in fondo al tunnel, una luce: il corridoio umanitario che ha reso possibile in loro arrivo, in sicurezza, in Italia ed in Trentino.
Oggi alla residenza San Nicolò la vita di queste persone scorre tra i sorrisi, la voglia di imparare, di fare, di costruirsi un futuro, di cercare un lavoro, di avere una casa propria ma sempre con un pensiero rivolto alla terra natale e con la speranza che in Siria possa finalmente tornare a regnare la pace.