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I migranti e la casa in Trentino

11/08/2023

Una tesi di laurea approfondisce le criticità nella ricerca dell’alloggio

Noemi Filosi è educatrice ed antropologa culturale. Ha lavorato quattro anni nei progetti d’accoglienza richiedenti asilo e rifugiati e recentemente ha svolto una ricerca etnografica sul tema dell’abitare. La sua ricerca dal titolo “Abitare precario. Il Trentino tra immaginari di benessere e razzializzazione del mercato immobiliare” ha voluto indagare diversi aspetti dell’abitare delle persone straniere in Trentino e nello specifico cosa avviene quando una persona ricerca un alloggio in affitto. Ha scelto di approfondire questo tema nella consapevolezza che la casa è un nodo critico per le persone migranti. Ha indagato il tema utilizzando diverse metodologie: osservazione partecipante, interviste, raccolta di storie di vita e studio della letteratura scientifica. L’abbiamo intervistata.

Dottoressa Filosi, esistono peculiari difficoltà per i migranti nel trovare casa in Trentino, tenendo presente che l’alloggio è comunque un grande problema per la generalità dei cittadini, autoctoni e migranti?

La mia ricerca etnografica, così come molta letteratura scientifica, mostrano che l’alloggio è, per le persone migranti, un tema cruciale più che per il resto dei cittadini. Ricondurrei il motivo di tale difficoltà a quello che Achille Mbembe chiama “nanorazzismo”, una forma strutturale di razzismo. Le persone migranti sono più ostacolate nel mercato immobiliare degli affitti privati in quanto, nel momento in cui vedono un annuncio di appartamento o stanza d’affitto sui portali online e sono interessati, la maggior parte delle volte non riescono nemmeno ad avere un appuntamento per visitare l'alloggio. Negli otto mesi di ricerca etnografica ho cercato attivamente casa con sei persone migranti; sono riuscita a visitare tre appartamenti in tutto e poi nessuna visita è andata a buon fine. Le persone migranti con cui ho cercato casa erano persone con contratti a tempo indeterminato o con contratti precari ma con un reddito sufficiente per pagare l’affitto di un appartamento o di una stanza nel mercato immobiliare.
Il mercato immobiliare privato è un mercato che oltre ad escludere le persone con redditi bassi esclude anche le persone migranti che possono permettersi di pagare l’affitto.
La questione abitativa è una questione ormai diffusa a tutta la società, conosco molte persone anche non migranti che fanno fatica a trovare una sistemazione adeguata alle proprie esigenze, perché il mercato immobiliare è sempre più caro e perché la disponibilità di case in affitto è bassa rispetto alle esigenze. Ciò che differenzia le persone migranti dagli altri cittadini è, come dicevo prima, l’accesso anche solo al principio di questo mercato. Durante la mia ricerca è emerso da varie interviste, e io stessa l’ho provato, che quando una persona con accento straniero chiama per un annuncio immobiliare le viene detto immediatamente che l’alloggio cercato non è più disponibile. Se, dopo pochi minuti, chiama una persona con accento autoctono e chiede informazioni per lo stesso annuncio, l’alloggio torna miracolosamente disponibile. Inoltre, tutte le volte che, ad un partecipante della mia ricerca è stato detto che l’alloggio non era più disponibile, l’annuncio è rimasto per diversi giorni sulle piattaforme online. L’accento non riconosciuto come autoctono genera un muro, un confine immediato, e con una frequenza tale da farmi concludere che si tratta di una prassi, non di casi deplorevoli ma isolati.

L’immigrazione è un universo molto ampio. Il problema casa riguarda soprattutto le prime generazioni di migranti, le seconde o i richiedenti protezione internazionale?

Il problema della casa nel mercato immobiliare non riguarda solo una parte delle persone migranti o delle persone neoarrivate ma comprende tutte le persone migranti anche quelle di seconda generazione. Mi spiego meglio: quando ci si interfaccia con il mercato immobiliare privato basta avere un nome e cognome definito dall’interlocutore “non autoctono” e si hanno già maggiori difficoltà rispetto agli autoctoni ad avere un alloggio. Durante la ricerca etnografica ho conosciuto Fatine, nata e cresciuta a Trento, abbiamo fatto le stesse scuole superiori e abbiamo la stessa età. Abbiamo molte cose in comune, molte esperienze legate agli studi in comune, la differenza sostanziale tra me e lei è che lei vive in un appartamento con una stanza da letto in cui dormono in quattro: lei, suo marito e i due figli di 3 e 5 anni, mentre io non ho mai fatto fatica a trovare un alloggio adeguato alle mie esigenze. La sua condizione abitativa è legata al fatto che pur avendo due contratti di lavoro non riesce a trovare un appartamento più grande. Abbiamo diverse volte cercato casa insieme. Lei, non avendo l’accento straniero, riesce di solito ad avere l’appuntamento per vedere l’appartamento ma, praticamente ogni volta, quando dice il suo nome e cognome l’interlocutore fa una pausa, ci riflette su, conferma l’appuntamento ma richiama dopo alcuni giorni per disdirlo. Per questo ritengo che la difficoltà di avere una casa coinvolga tutte le persone migranti.

Vi sono nazionalità che subiscono pregiudizi e discriminazioni più di altre?

Secondo le persone che ho intervistato, subiscono maggiormente pregiudizi e discriminazioni le persone provenienti da quello che le scienze sociali definiscono “Sud globale”. Non è quindi razzializzata la persona proveniente dal nord America o dall’est Europa.

Secondo l’ultimo Rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma, che analizza il racconto mediatico dell’immigrazione in Italia, le testate hanno avuto un atteggiamento diverso nei confronti degli sfollati ucraini, dimostrando apertura ed empatia. Accade la stessa cosa anche ai cittadini ucraini che affrontano il mercato immobiliare?

Come sottolinea il Rapporto della Carta di Roma aver raccontato la guerra in Ucraina con maggior apertura ed empatia ha conseguentemente permesso di avere maggiori disponibilità da parte dei proprietari d’immobili a cedere le case, a volte anche in comodato d’uso gratuito, alle persone sfollate dall’Ucraina. All’inizio, nella città di Bologna, dove l’emergenza abitativa è presente da diversi anni, il sindaco e il vescovo hanno fatto un appello condiviso per chiedere di trovare uno spazio per le persone sfollate. L’appello ha portato molti proprietari di case sfitte o di case in affitti brevi a darle agli sfollati ucraini. Questa vicenda fa emergere il paradosso: le case ci sono ma solo per una parte della società.
Per quanto riguarda la popolazione Ucraina c’è un altro elemento sostanziale da sottolineare: la maggior parte di sfollati, avendo potuto scegliere dove andare, si sono spostati nei territori dove avevano già contatti e quindi avendo una rete familiare già presente è stato più facile reperire anche alloggi attraverso le reti informali.
L’atteggiamento di apertura e empatia non può essere generalizzato in tutti i territori, nella mia ricerca è emerso che alcuni territori ostili con le persone provenienti dal Sud globale lo sono stati anche con le persone provenienti dall’Ucraina.

Nel suo percorso di studio del fenomeno, si è imbattuta in altri pregiudizi e in altre forme di discriminazione accanto al tema della provenienza?

Nella mia ricerca sull’abitare mi sono imbattuta principalmente nel razzismo, quindi alla forma di discriminazione legata alla provenienza delle persone. Delle sei persone con cui ho cercato casa due negli otto mesi di ricerca sono riuscite a trovare una sistemazione adeguata alle sue esigenze. Una persona grazie ad una rete informale di persone attive che si sono rese disponibili ad essere garanti, l’altra grazie al datore di lavoro che ha svolto un lavoro di mediazione tra l’agenzia immobiliare e la persona. Questo ultimo caso permette una riflessione sulla classe sociale, anche essa infatti influisce sull’accesso al mercato immobiliare. Se una persona lavora in un luogo di lavoro stabile sia a livello economico che sociale, che è riconosciuta a livello locale o internazionale ed ha una rete informale stabile ha molte più possibilità di trovare un alloggio piuttosto che chi invece lavora in aziende che sfruttano i lavoratori, che sono poco stabili e poco conosciute.

Lei nella sua tesi parla di “ospitalità incondizionata”, citando alcuni esempi di accoglienza in casa fra migranti. Questo concetto però, applicato al mercato immobiliare, andrebbe oltre il doveroso superamento dei pregiudizi, mettendo in discussione le regole stesse del mercato e la libertà di azione, nei limiti delle normative, degli operatori che ne fanno parte. Esiste un possibile equilibrio?

Questa questione esce dal mio percorso di ricerca, per cui non ho dati o osservazioni empiriche in merito.
Detto questo, non credo sia vero che l’ospitalità incondizionata metterebbe in discussione le regole stesse del mercato immobiliare, in primis perché essa è già un fatto comune e questa messa in discussione non sta avvenendo.
Nella mia esperienza di vita ho avuto a che fare con famiglie proprietarie, famiglie italiane in affitto o appartamenti di studenti disponibili ad un supporto abitativo temporaneo per parenti o amici in difficoltà. L’ospitalità incondizionata mi risulta essere un polmone informale che, piuttosto che mettere in discussione le regole del mercato immobiliare, evita il collasso dei servizi sociali diminuendo le richieste che ad essi vengono fatti.
Per quanto riguarda le persone straniere, credo vi siano due fattori che rendono più complessa la gestione dell’ospitalità incondizionata: le persone straniere che ne hanno bisogno sono molte di più, perché mercato e servizi non hanno un’offerta tale da rispondere alla domanda. Inoltre, la sfiducia nei confronti delle persone migranti fa sì che siano molto più controllate, e che l’ospitalità informale sia più spesso attenzionata e sanzionata che in tutte le altre situazioni.
In conclusione credo che se il mercato immobiliare, libero da pregiudizi, fosse capace di organizzare un’offerta adeguata alla domanda, l’impatto dell’ospitalità informale sarebbe molto meno forte, per cui credo che l’onere stia sugli operatori del mercato e dei servizi, e non su chi ospita un amico o un parente che altrimenti sarebbe in strada od in un dormitorio.

Più in generale, quali soluzioni si potrebbero adottare per superare le specifiche difficoltà che i migranti incontrano nella ricerca della casa, consentendo loro di avere le stesse opportunità di accesso al mercato immobiliare al pari della generalità dei cittadini?

Per superare le specifiche difficoltà che i migranti incontrano nella ricerca della casa credo andrebbero fatti diversi interventi da molteplici attori. Innanzitutto per quanto riguarda il mercato immobiliare privato bisognerebbe riuscire ad aumentare l’offerta mettendo nel mercato le case sfitte e regolamentando e contenendo gli affitti brevi. Credo inoltre che vadano monitorate e sanzionate le agenzie immobiliari che per prassi non affittano alle persone straniere: chi esercita un’attività commerciale non può legalmente discriminare.
Andrebbero inoltre aumentati gli interventi di edilizia pubblica e sociale togliendo ad essi i requisiti che rendono più difficile l’accesso a chi è presente nel territorio da meno tempo. Tali criteri di accesso all’edilizia pubblica e sociale non tengono in considerazione il fatto che le persone migranti di prima generazione possono aver maggiormente bisogno di un alloggio pubblico in quanto hanno meno reti sociali, meno opportunità e, la mia ricerca lo dimostra, sono oltretutto razzializzate e di conseguenza escluse dal mercato immobiliare degli affitti. Sempre in questa prospettiva, conoscendo il nostro territorio che ha molte case sfitte nelle valli o nelle zone limitrofe della città, credo che bisognerebbe anche aumentare le reti di trasporto pubblico, per permettere alle famiglie che non hanno macchine o ne hanno solo una nel nucleo di vivere nelle zone in cui le case costano meno e lavorare nei centri urbani.
Infine interventi di mediazione sociale tra agenti del mercato privato e persone straniere possono svolgere un ruolo importante. Mi sembra che vada in questa direzione in nuovo progetto LocAzione, un’agenzia immobiliare sociale che si pone l’obiettivo di far fronte all’emergenza abitativa creando un patto tra proprietari e inquilini.

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Pubblicato il: Venerdì, 11 Agosto 2023

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