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“Storia demografica dell’Italia dall’Unità ad oggi”, il ruolo dell’immigrazione

23/02/2023

Report Istat: la grande recessione iniziata nel 2008 ha reso meno attrattiva l’Italia per i migranti

La trasformazione dall’Unità d’Italia attraverso i cambiamenti demografici: l'aumento della popolazione e il suo invecchiamento, l'inurbamento, l'emigrazione verso l'estero e le aree forti del paese, sostituita oggi dall’immigrazione. Questi i temi principali della ricerca di Istat “Storia demografica dell’Italia dall’Unità ad oggi”.
Tra il 1861 e il 2022 la popolazione del Paese è più che raddoppiata. Assieme al numero di residenti sono cambiati profondamente anche le caratteristiche e i comportamenti delle persone. L’allungamento della vita e la contrazione della natalità hanno determinato l’aumento del numero di anziani e la riduzione di quello dei giovani. I flussi migratori internazionali hanno contrastato la crescita naturale della popolazione per oltre un secolo, mentre negli ultimi vent’anni ne hanno compensato la diminuzione.
Al primo gennaio 2022 in Italia risiedono 59 milioni di persone, delle quali oltre 5,1 milioni sono stranieri. I cittadini italiani in totale sono invece circa 60 milioni, dei quali 5,8 milioni sono residenti all’estero.
A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento l’emigrazione (per lo più dalle regioni del Mezzogiorno) controbilancia l’aumento dei tassi di crescita naturale: nel biennio 1912-13 si ha un saldo migratorio netto negativo di oltre 750 mila persone (il 2% circa della popolazione residente).
Negli anni Cinquanta e Sessanta, di crescita economica sostenuta e di sviluppo della manifattura, si verifica un’impennata anche dei flussi migratori interni dalle aree rurali.
Gli anni ‘70 ed ‘80 sono caratterizzati da una sostanziale riduzione dei flussi migratori verso l’estero e anche di quelli interni. L’Italia non è più un paese da cui si emigra per cercare maggiore benessere, pur non essendo ancora tra le mete di paesi meno sviluppati. Le modificazioni sociali connesse al più elevato grado di benessere si associano a una sostanziale riduzione della natalità, che scende su valori prossimi o inferiori a quelli della mortalità: nel 1986 la crescita del numero di residenti si arresta per la prima volta dal 1918.

L'immigrazione 
L'immigrazione inizia a crescere sostanzialmente nella seconda metà degli anni Novanta. Nello stesso periodo riprende anche l’emigrazione dal Mezzogiorno, in crisi, verso il Centro-nord. Nei primi anni Duemila, l’accelerazione dell’immigrazione legale (che si traduce in residenza anagrafica) determina una ripresa della crescita demografica, concentrata nelle aree urbane economicamente più forti del Paese. La regolarizzazione degli immigrati, introdotta dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, fa aumentare di oltre 700mila i permessi di soggiorno in Italia nel 2004, per coloro che già possiedono un contratto di lavoro. Nel decennio 2005-2014 i residenti crescono di 3,2 milioni grazie all’immigrazione regolare e, anche, alla giovane età e maggior fertilità degli immigrati. Aumentano anche le acquisizioni di cittadinanza, con un picco di 200 mila nuovi cittadini nel 2016. Si tratta di un’esperienza simile a quella della Spagna e a quella vissuta precedentemente da Francia e Germania. 
La componente straniera nello stesso periodo passa da meno di 2 a quasi 5 milioni di persone e, in rapporto al totale, da meno del 4 a più dell'8%. La prevalenza di giovani tra gli immigrati e tra gli stranieri residenti contribuisce anche a rallentare l’invecchiamento della popolazione, nonostante nel tempo anche la struttura per età della popolazione straniera mostri una tendenza analoga.
La grande recessione iniziata nel 2008 ha reso meno attrattiva l’Italia per gli immigrati e, al tempo stesso, ha portato a una discreta ripresa dell’emigrazione tra i giovani. Oggi gli stranieri in Italia sono circa 5,1 milioni e rappresentano l’8,7% della popolazione residente, rispetto all’11,3% in Spagna, il 12,7% in Germania e il 7,7% in Francia, dove però l’immigrazione ha una storia molto più radicata. I nati all’estero, compresi i discendenti di emigrati di ritorno, nel 2021 costituivano circa il 18,2% della popolazione residente in Germania, il 15,2% in Spagna, il 13,2% in Francia e il 10,6% in Italia. La riduzione del saldo migratorio, dal 2015 porta a una graduale riduzione della popolazione residente per la prima volta dal 1918. L’origine degli stranieri residenti in Italia è nel 47% dei casi europea. Le nazionalità più rappresentate sono Romania (1,1 milioni) e Albania (433 mila), seguite da Marocco (429 mila), Cina (330 mila) e Ucraina (236 mila): questi cinque paesi insieme costituiscono la metà del totale. Le donne sono il 51,2% dei residenti stranieri, con differenze importanti tra le aree di provenienza, che si intrecciano con gli sbocchi occupazionali prevalenti per genere nelle singole comunità di immigrati. La distribuzione territoriale dei cittadini stranieri, come per le migrazioni interne, è fortemente condizionata dalle opportunità di lavoro: oltre l’83% degli stranieri risiede infatti nel Centro-Nord, con un’incidenza sulla popolazione totale assai più elevata rispetto al Mezzogiorno.

Il sito di Istat

La pubblicazione in formato .pdf

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Pubblicato il: Giovedì, 23 Febbraio 2023 - Ultima modifica: Venerdì, 03 Marzo 2023

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